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Parsi

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VOTO: 7

Sembra

Presentato nel concorso internazionale di Filmmaker Festival 2019, dopo la prima al Cinéma du Réel di Parigi, Parsi è il lavoro del regista Eduardo Williams, che si è fatto conoscere con El auge del humano con cui ha vinto il Pardo d’oro Cineasti del presente a Locarno, e del poeta Mariano Blatt, entrambi argentini. Si tratta di un cortometraggio di 23 minuti giocato su un flusso verbale poetico che accompagna un flusso vorticoso di immagini riprese in un villaggio della Guinea Bissau, nel contesto della comunità queer locale. Nell’ottica cara al regista della dimensione del vicinato, della piccola comunità, in contesti di povertà, in paesi poveri o diversamente ricchi. Quelle comunità tanto sobrie quanto felici, marginali sia per il contesto geografico sia per la loro diversità, per quella che diversità sembra.

“Parsi” è la contrazione in lingua creola di “parece”, sembra, il punto d’inizio di ogni strofa della litania che ritma il film, nello stile, per intenderci, di Se di Rudyard Kipling. Sembra qualcosa ma nell’intimo è qualcos’altro, qualcosa di diverso dalle apparenze esteriori, un testo poetico che allude alla grande ricchezza della diversità, culturale, intellettuale, sessuale, un inno alla stravaganza, alla varietà nell’appariscenza, un gay pride letterario e visivo, una sfilata verbale concentrata in una ventina di minuti di un trip allucinato: sembra Pikachu, il supermercato di Twin Peaks o un veterano della guerra delle Malvinas che ascolta i Pet Shop Boys, battuta, quest’ultima che apre a uno spiraglio interpretativo, alludendo al conflitto in cui si è imbarcata l’Argentina dei dittatori contro il paese anglosassone comunque egemone con la sua cultura popolare.
Riprese con go-pro mossa messa in mano ai personaggi, esprimendo il loro punto di vista, consegnato loro da Eduardo Williams, un punto di vista che galleggia e naviga compulsivamente in quel villaggio fatiscente, un flusso ipercinetico con una fotografia sbavata e instabile: Parece è strutturato in alcuni piani sequenza. Già i titoli di testa enunciano la scivolosità dell’immagine, ripresi su uno schermo e mossi, ribaltati. Non c’è un punto fisso nel film, né un’inquadratura stabile, qualcosa di solido cui aggrapparsi, tutto scorre, la vita è un vortice di apparenze senza certezze. Alcuni punti del testo sembrano teorizzare la stessa concezione che sta alla base di Parece, sia per quanto riguarda lo stile, che il contenuto. Sembra la musicalità del linguaggio. Sembra un modo strano di usare il cellulare, ormai strumento di ripresa di immagine a disposizione di tutti, cellulare che torna come schermo interno nell’ambigua immagine finale. Sembra On Kawara, il grande esponente dell’arte concettuale. Sembra gay, sembra sincero, sembra etero, sembra una commedia gay degli equivoci, sembra come qualsiasi cosa che ti circonda. Sembra, parece, parsi…

Giampiero Raganelli

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