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Pagan Variations

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VOTO: 7

Flaming Creatures

Guardando Pagan Variations, spiazzati dall’irruenza lisergica delle sue immagini e dall’aura misterica dei rituali che mette in scena, si potrebbe pensare che tutto inizi e finisca con una lunga  allucinazione dal fascino disturbante e fine a se stesso.
Eppure, a dispetto delle apparenze e delle facili provocazioni, è sulla scia di una lunga tradizione che pone le sue basi l’opera di A. J. Dirtystein, artista e performer estrema francese alla sua prima esperienza dietro la macchina da presa.
Che Pagan Variations sia un diretto discendente di The Holy Mountain, del suo misticismo e della sua carica sovversiva e iniziatica, d’altronde non parrebbe essere un mistero; così come un mistero non sono certo le influenze che una lunga tradizione di cinema sperimentale e underground ha evidentemente esercitato sulla pellicola e sulla sua autrice.
Tra il ritualismo occulto di Kenneth Anger e il trionfo orgiastico e liberatorio di Jack Smith, con cui la regista dialoga costantemente, contaminando il suo immaginario attraverso ricercate soluzioni stilistiche ed espressive, non potevano allora che essere proprio quei tarocchi intorno ai quali ruotava l’opera più celebre di Alejando Jodorowsky lo spunto e il fine ultimo del suo delirio misticheggiante.
A emergerne è una discesa agli inferi per episodi, un oscuro collage di tableaux vivants fotografato (accostando echi di David LaChapelle a degenerazioni alla Joel Peter Witkin) con notevole ricercatezza formale e colorato di un simbolismo forte benché a tratti (inevitabilmente) esasperato.
Un film “maledetto” e appariscente che alla visionarietà della sua messa in scena contrappone la spiazzante realtà delle sue performance, la consistenza fisica del suo inquietante, sofferto e vitale circo di freaks.
Il sangue – quello vero – si mischia al trucco in quest’opera fluviale e ostentatamente blasfema, che esaspera toni e immaginari abusati senza per questo rimanere meno autentica.
Perché, nel tripudio delle sue figure semoventi, nei suoi sperimentalismi visivi e sonori,  è proprio la più cruda realtà –  fatta di corpi, di ferite, di sesso e feticismi – a irrompere e confondersi nella finzione, in un cortocircuito percettivo e perturbante che è poi la più grande forza del film.
Un’esperienza estrema, Pagan Variations, respingente e contorta ma, allo stesso tempo, avvolgente e sensuale, capace di andare al di là della sua forma senza per questo affogare nella sua stessa ambizione. Senza per questo venir meno alla sua anima oscura.

Mattia Caruso

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