Vivere con gli occhi dei bambini
Il periodo della Giornata della Memoria è diventato un momento in cui spesso si fanno uscire film in linea con il tema. Il viaggio di Fanny, diretto da Lola Doillon e distribuito da Lucky Red il 26 e 27 gennaio, è tra questi.
Si potrebbe pensare di saperne e di aver visto abbastanza sull’Olocausto, eppure questo lungometraggio riesce a offrire uno squarcio magari non ancora molto conosciuto e lo fa tramite i bambini. Dal 1938 al 1944 migliaia di bambini scamparono alla deportazione grazie all’OSE (Oeuvre de Secours aux Enfants) che li fece fuggire attraverso i campi, nascondendoli e facendogli passare le frontiere di Italia, Svizzera e Spagna.
“Mi sono chiesta se fossi legittimata a raccontare una storia come questa e a parlare di bambini ebrei non essendo io ebrea”, ha dichiarato la regista francese, “ma poi mi sono decisa, dicendomi che si tratta di una storia che riguarda la Francia, l’Europa, e che in quanto tale avevo il diritto – perfino il dovere – di raccontarla”. Ispirandosi alla storia vera di Fanny Ben-Ami, la regista ha creato, col suo terzo lungometraggio, un viaggio che ha la forza della verità e la distanza di chi non sta raccontando qualcosa che gli è accaduto personalmente.
Sin dai primissimi minuti lo spettatore si ritrova a guardare con gli occhi dei bambini e a percepire sulla propria pelle (anche se sarà sempre impossibile immaginarselo fino in fondo) cosa voglia dire essere lasciato dal proprio genitore presso un istituto. Al bambino di turno, ancor più durante le circostanze storiche della Seconda Guerra Mondiale, veniva raccontato che si faceva tutto ciò per il proprio bene. Difficile afferrarne il senso a dieci anni o ancor meno. Eppure, di fronte agli eventi stringenti della Storia, si è costretti a crescere più in fretta e di questo Fanny (a cui dà volto Léonie Souchaud, al suo debutto e già molto intensa) si rende conto presto.
Lei, le sue sorelle minori e altri bambini sono costretti a cominciare un viaggio che li metterà a dura prova nel momento in cui i rastrellamenti nazisti si intensificano. La Doillon, che nella sua opera prima (Et toi, t’es sur qui?, 2007) aveva dato voce e spazio agli adolescenti, questa volta sposa completamente il punto di vista dei bambini, mettendosi a servizio del loro sguardo e dando corpo a un vero e proprio iter formativo. La presenza degli adulti è centellinata, anche se fondamentale in alcuni momenti di snodo chiave – i due ruoli più rilevanti sono interpretati da Cécile De France e Stéphane De Groodt.
Il viaggio di Fanny ha vinto l’edizione 2016 del Giffoni Film Festival e non è un caso che abbia colpito così fortemente un gruppo di ragazzi. Va detto che a tratti lo script evidenzia dei momenti narrativi che peccano di ingenuità e, forse ancor più per chi non riesce a immergersi in quegli occhi e in quell’età, alcuni sviluppi potranno apparire surreali. Lasciando volutamente fuori campo le immagini del conflitto, l’obiettivo della macchina da presa ci fa vivere il tutto in empatia con la protagonista e i suoi compagni di viaggio. Da adulti non si penserebbe, probabilmente, di mettersi a giocare mentre si è in fuga, invece, qui accade (e non vi sveliamo altro). La fotografia curata da Pierre Cottereau diventa specchio degli stati d’animo dei bambini in quel preciso istante, oltre ad assecondare i diversi registri. Innegabilmente vivendo e guardando con gli occhi dei bambini c’è una leggerezza che col trascorrere degli anni si perde e non si può non farsi contagiare e toccare. “Il progetto è servito a Lola Doillon anche per raccontare un periodo difficile della nostra storia ai ragazzi più giovani. Molti di loro, aggiunge, ancora non conoscono o, secondo la loro età, sanno poco di questo periodo della Storia, e intanto gli ultimi testimoni stanno invecchiando e spariscono un po’ alla volta. Il film era dunque uno straordinario veicolo di trasmissione della memoria della Shoah – anche se sempre a misura di bambino” (dalle note di produzione).
Ci si augura che questa cifra in soggettiva possa raggiungere quanti più spettatori e arrivare dove non arrivano i manuali di storia.
Maria Lucia Tangorra