Tanti magnifici esordi e un addio: Lina Wertmüller
Era stata una serata davvero magica quella dello scorso 11 novembre al Cinema dei Piccoli, allorché alla presenza dell’autore e della compagna Claire (talentuosa cantante italo-francese, in vena di regalare al pubblico anche una breve performance musicale) il programma del Mescalito Biopic Fest 2021 aveva proposto Opera prima di Tayu Vlietstra. Ed era stato quindi il regista stesso, intervistato in sala, a ricordarci le tappe di questo encomiabile lavoro cinematografico che lo aveva portato nel corso del tempo a contattare sei grandi registi italiani, per investigare assieme a loro l’emozione, le difficoltà e tutte le circostanze più curiose del loro debutto. Già così il film di Tayu Vlietstra si configurava, concedeteci la libera parafrasi di un testo famoso, come una sorta di “casa degli spiriti”, in virtù del fatto che, tra i sei autori da lui incontrati nel corso degli anni, un paio non sono più tra i viventi da un pezzo e se ne sente davvero la mancanza: il riferimento è naturalmente a Mario Monicelli e Bernardo Bertolucci. Malauguratamente proprio in questi giorni il triste conteggio di chi è ancora tra noi e di chi ci ha lasciato è andato in perfetta parità, tre a tre. Il lettore ne sarà senz’altro informato. Ad ogni modo è stata Lina Wertmüller a spegnersi, giovedì 9 dicembre, portando con sé assieme agli iconici occhiali bianchi un pugno di titoli assai importanti e l’intensa parabola artistica/esistenziale di una pioniera del cinema italiano.
Ebbene, in Opera prima uno dei segmenti più brillanti del documentario è per l’appunto dedicato a I basilischi, strepitoso esordio che valse inoltre alla regista la Vela d’argento e il Premio internazionale della critica al XVI Festival di Locarno. Nelle dichiarazioni raccolte da Tayu Vlietstra spiccano tanto quello sguardo sensibile e acuto, rivolto alla cornice antropologica del meridione di allora, che la sfrontatezza stessa della cineasta, assai abile in gioventù nel trasformare un budget alquanto ridotto nel presupposto di una pellicola che avrebbe lasciato il segno.
Ma molto divertenti, accorte e sornione ci sono parse anche certe affermazioni della Wertmüller sul rischio di farsi poi intrappolare in un cinema forzatamente autoriale, fintamente intellettuale, problematica che ancora oggi può far sentire il suo peso. Dalla vittoria a Locarno al pericolo di essere “incasellata” da pubblico e critica in determinate categorie. Ascoltiamola: “Uscii già nelle sale con una coroncina in testa, poi vinsi altri 14 premi internazionali. Fu un ottimo lancio. Fu tanto buono che io mi spaventai un po’: ora, dicevo, mi mettono nello scaffale dei registi impegnati, mi tocca fare tutta la vita cinema impegnato. E siccome di natura sono mascalzona, zingara, scugnizza diciamo, pensai ‘cosa posso fare per cancellare subito nella testa dei critici il fatto che io sarei così? Faccio Giamburrasca!’ E feci Giamburrasca, in televisione, con la Pavone, musical, mi divertii tantissimo! Tutti gli ottimi attori di teatro che c’erano ce li misi dentro. Poi, per carità, altissima qualità: Nino Rota, Pierino Tosi, Bacalov all’orchestrazione. Però era Giamburrasca“.
A Lina, viste le circostanze, abbiamo voluto dedicare un sacrosanto “primo piano”, per congedarci con affetto da lei e dal suo cinema. Ma anche se la sintesi della recensione ci spinge a passare a volo d’uccello sulle altre significative esperienze cinematografiche raccontate nel film, ci teniamo a precisare che lo spigliato documentario di Tayu Vlietstra sa mettere bene a fuoco sia gli esordi che il carattere stesso degli autori in questione. Passiamoli velocemente in rassegna.
A cominciare da Monicelli, tenero e pragmatico insieme nel ricordare una stagione della commedia all’italiana, che lo vide esordire alla regia assieme a Steno con il campione d’incassi Totò cerca casa. Dopo la già menzionata Lina Wertmüller è il turno di Bernardo Bertolucci. Quindi il suo rapporto con Pasolini. E un folgorante debutto sul grande schermo, La comare secca, che però fa il paio col successivo Prima della rivoluzione, quasi un altro esordio considerando che Bernardo quella sceneggiatura la teneva nel cassetto e nel cuore da prima. Il testimone passa poi a Liliana Cavani, altra donna energica e carismatica, che esordì nel 1966 con Francesco d’Assisi, personale ritratto di una delle figure più iconiche della cultura popolare italiana. A seguire la formidabile genesi creativa de I pugni in tasca, lungometraggio d’esordio di Marco Bellocchio. Quasi impossibile per lui non soffermarsi nell’intervista sul rapporto instauratosi con Lou Castel, altro gigante, sul set di una delle pietre miliari del nostro cinema. E infine, avvicinandoci un po’ di più ai giorni nostri, una grintosissima Francesca Archibugi (così non soltanto la parità tra viventi e deceduti, ma anche quella di genere è pienamente ristabilita) tesa a ricordare quella giovanile euforia che la portò a proporre ai produttori il fortunatissimo Mignon è partita.
Tanti aneddoti, tanti risvolti, tanta cinefilia, per un documentario chiuso con classe dalla già citata Claire, che sui titoli di coda interpreta La Chambre, brano musicale elegante ed emotivamente carico un tempo amatissimo proprio da Bertolucci.
Stefano Coccia