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Oltre le nuvole

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VOTO: 7.5

Nubi fluttuanti

Una caotica stazione, gremita di gente. Un uomo in cappotto la attraversa. Si apre una porticina, della barriera dell’accesso ai binari; si chiude una porta di un treno. Un trenino quasi vuoto viaggia in mezzo alle risaie, mentre il protagonista è assorto nei suoi pensieri. Con queste immagini si apre Oltre le nuvole. Il luogo promessoci, il primo lungometraggio di Makoto Shinkai, del 2004, il nuovo genio del cinema d’animazione giapponese che finalmente è stato scoperto anche da noi. Sono immagini significative e programmatiche di tutto il suo cinema che è un cinema delle separazioni della vita, delle parabole umane che, come i binari di un treno, possono facilmente incrociarsi, e altrettanto facilmente separarsi. E questo film, come gli altri dell’autore, abbonda di immagini metaforiche in questo senso, come quelle, onnipresenti, di passaggi a livello, con le sbarre che si aprono e si chiudono. E poi le rotaie, e qui ci sono anche dei frammenti di binari, residui di linee ferroviarie ormai dismesse, vicino al capannone sperduto dove si trovano i protagonisti.
E ancora sulla separazione geopolitica si fonda il contesto fantastico del film. Un’ucronia alla Philip K. Dick, molto simile a quella di “Una svastica sul sole”. Un mondo che negli anni Novanta è ancora diviso in due blocchi e il Giappone, come la Germania del dopoguerra, è ripartito in due zone d’influenza opposte, quella delle tre isole a sud, delle quattro maggiori che formano l’arcipelago nipponico, Kyūshū, Shikoku e Honshū, sotto il controllo degli Stati Uniti. La quarta più a nord, la fredda Hokkaidō, che nell’universo fantascientifico del film è stata ribattezzata Ezo, è una colonia dell’Unione, possibile riferimento all’Unione Sovietica. Sarebbe stato fatto un tunnel sottomarino per collegare Ezo al resto del Giappone, si dice nel film, ma il progetto è stato ovviamente abbandonato a seguito di questa intervenuta barriera tra stati. Le autorità dell’Unione hanno costruito una grande e smisurata torre a Ezo, per mostrare la propria presenza a segno di monito, visibile in ogni punto, anche quelli più distanti, del Giappone. Esattamente lo stesso principio in base al quale fu eretta la torre della televisione nella Berlino Est. Una torre di Babele talmente alta, quella di Ezo, che non si riesce a scorgerne la sommità, che si perde tra le nuvole. Una striscia che separa il cielo in due parti. A una divisione orizzontale, politica, se ne aggiunge una verticale. Una figura peraltro cara a Makoto Shinkai: si pensi al razzo lanciato che, con la sua scia, taglia il cielo in due in 5 cm per second. E le linee che si intersecano sono anche quelle, nel film, del violino con l’arco che incrocia le corde. E la torre smisurata diventa anche un epicentro di mondi paralleli, con le loro possibili intersecazioni e diramazioni. Un mondo parallelo al nostro è del resto quello del film, dove nella grande metropoli campeggia il cartellone pubblicitario della “Popsi”. Torniamo ancora alle suggestioni dickiane.
Mondi distopici, fantapolitica, universi paralleli: sono tutti gli ingredienti di un filmone di fantascienza, ma nelle mani di Makoto Shinkai perdono il loro potenziale di suggestione di genere per diventare metafore esistenziali della vita. Le vite di due ragazzi e una ragazza, il loro incontro e la loro separazione, i sentimenti inespressi, i banchi di scuola, l’ingresso nell’età adulta, i sogni, le promesse, i ricordi, le direzioni che può prendere l’esistenza. Questo è, ridotto al’osso, quello che racconta ancora una volta Makoto Shinkai. Narrato con voce off, come un flusso di coscienza. Ci sarà sicuramente qualcuno che lo definirà il nuovo Miyazaki. Ma con il maestro dello Studio Ghibli c’è ben poco in comune. Qui al limite un interesse per gli aerei e le macchine volanti. I veri referenti di Makoto Shinkai sono il regista di Hong Kong Wong Kar-wai e lo scrittore Haruki Murakami. Shinkai sbalordisce per la bellezza e lo splendore dei suoi sfondi e paesaggi, con il suo pittoricismo dai colori pastello. Per la luce che si polarizza e cerca di pervadere tutto, per quei contrasti che si ripetono a livello figurativo tra ciò che è più o meno illuminato. I paesaggi innevati e la neve che cade. E le nuvole, già nel titolo del film, che spadroneggiano nel cielo. Le nuvole che nella tradizione giapponese rappresentano, per il loro carattere continuamente cangiante, per l’impossibilità di prevedere che forma possano assumere, l’imprevedibilità stessa della vita e le infinite direzioni che questa può prendere.
Auspichiamo la distribuzione italiana anche degli altri lavori di Shinkai, come il suo capolavoro 5 cm per second.

Giampiero Raganelli

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