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Nothing Holier Than a Dolphin

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VOTO: 8

Il mare in una stanza

Diversamente da quello che si potrebbe pensare con un nome e cognome che sembrano avere entrambi origini nostrane, Isabella Margara invece è nata e cresciuta in Grecia, dove ancora vive e si divide tra il lavoro di medico e quello di regista. Se sul primo non abbiamo informazioni in merito per giudicarne l’operato, anche se questa non sarebbe comunque la sede appropriata, sul secondo al contrario abbiamo abbastanza elementi per pronunciarci circa la bontà e la qualità di quanto portato sino a questo momento sullo schermo.
Al centro della sua produzione sulla breve distanza, che ad oggi può contare su due cortometraggi pluridecorati, l’aspetto terapeutico dell’arte e il punto di rottura tra realtà e fantasia sono sicuramente le basi portanti del processo creativo e dell’architettura narrativa e drammaturgica, all’interno della quale trovano spazio e vengono sviluppati e approfonditi temi ricorrenti come natura e femminismo. Caratteri, questi, che hanno alimentato l’esordio 54 / The Blind Turtle and the Endless Sea e che adesso si possono ritrovare nella seconda prova dietro la macchina da presa dal titolo Nothing Holier Than a Dolphin, presentata nel concorso della sezione “Maremetraggio” del 24° ShorTS International Film Festival di Trieste dopo la vittoria del premio del pubblico all’ultima edizione del Clermont-Ferrand International Short Film Festival.
Siamo in un piccolo villaggio che affaccia sul Mediterraneo dove prende vita inaspettatamente un antico mito. Due pescatori trovano nelle loro reti un delfino catturato accidentalmente. Il delfino, a sua volta, trova un pescatore che sta annegando in acqua e cerca di salvarlo. Dalla sinossi si evince quanto i caratteri e le tematiche portanti del cinema della Margara siano presenti più che mai anche in questa sua seconda opera. Si tratta in primis di una storia che offre una grande visione ambientale, tema che diventa il baricentro su e intorno al quale ruota e prenda forma sullo schermo una scena corale dall’impianto teatrale. La sala di un’osteria di un villaggio di pescatori non meglio identificato geograficamente in territorio greco si trasforma nel palcoscenico di questa rappresentazione dove il presente del reale s’incontra con il passato di un mito. Quel luogo prende le sembianze di un crocevia spazio-temporale dove le lancette dell’orologio sembrano fermarsi per cedere il testimone a una rappresentazione improvvisata all’insegna di un realismo magico in cui le due dimensioni si fondono per diventare un tutt’uno.

Francesco Del Grosso

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