La parola agli innocenti
In un anno, in Italia, circa 1000 innocenti vengono arrestati a causa di errori giudiziari. Persone che, di punto in bianco, vedono le loro vite andare a rotoli, perdono gli affetti, gli amici, il lavoro – senza che abbiano commesso nulla di sbagliato. E 1000 in un anno sono davvero tanti – tante storie che andrebbero quantomeno raccontate, rese pubbliche, dal momento che nessuno paga per i danni che questa gente ha dovuto subire. A tal proposito, il documentarista Francesco Del Grosso, con il suo Non voltarti indietro – presentato fuori concorso alla XV edizione del Rome Independent Film Festival – ha deciso di raccontarci cinque di queste storie: le vicende di cinque innocenti finiti per sbaglio in carcere, le cui disavventure hanno successivamente avuto epiloghi differenti.
Si apre fin da subito come una sorta di flusso di coscienza corale, Non voltarti indietro. Le voci dei protagonisti – prima ancora che i loro volti vengano mostrati – si alternano in una sorta di cantilena, nel raccontarci come tutto è per loro iniziato, ossia quando sono stati arrestati. Ed ecco che ci troviamo da subito nel vivo della vicenda, catapultati anche noi in un mondo di cui si è sentito molto parlare, ma che non abbiamo mai avuto l’occasione di vivere in prima persona. Si parte, appunto, dal momento dei loro arresti, fino al loro arrivo in carcere, alla loro vita in cella, alla loro scarcerazione – in alcuni casi avvenuta anche dopo parecchi mesi – al loro ultimo tragitto nel corridoio della prigione per raggiungere l’uscita – senza mai voltarsi indietro! – fino ad arrivare alla loro vita dopo il carcere, con tutte le conseguenze che l’immotivato arresto ha portato dietro di sé. Il tutto viene arricchito da suggestive immagini di disegni a matita – che illustrano, di volta in volta, ciò che viene raccontato – dai volti dei protagonisti – ora frontali, ora di profilo – che, in primissimo piano, ci parlano delle loro esperienze, e da anguste riprese a 360° – con abbondante uso del grandangolo – che ci mostrano le celle, i vari ambienti del carcere e – per quanto riguarda chi dopo la galera ha visto la sua vita andare a rotoli – le minuscole abitazioni occupate dopo la scarcerazione. Spazi stretti, chiusi, bui, ma che ben presto – e solo quando a parlare è qualcuno che è riuscito a risollevarsi dopo l’esperienza dell’arresto – diventano soleggiati parchi o belvedere, in cui anche lo spettatore – finalmente – può respirare a pieni polmoni.
La macchina da presa, dal canto suo, più che messaggero o testimone, diventa vero e proprio confidente dei protagonisti del documentario e – fortemente empatica, ma mai invasiva o giudicante – riesce a farci entrare nel vivo delle vicende facendoci sentire parte delle storie raccontate. Il risultato finale è un prodotto forte, emozionante e per niente retorico. Un vero e proprio urlo di rabbia: l’urlo di coloro che hanno visto le loro vite andare a rotoli per colpa di errori che non hanno commesso e l’urlo di tutti noi, che non ci sentiamo per niente tutelati dal sistema legislativo italiano, dal momento che – qualora dovessero verificarsi eventi del genere – nessuno pagherebbe per gli sbagli commessi e – salvo un misero risarcimento – saremmo abbandonati a noi stessi come gli ultimi tra i derelitti. Rabbia e sconforto, ma anche speranza ed una vera e propria iniezione di coraggio, nel momento in cui ascoltiamo le testimonianze di chi è riuscito a superare esperienze del genere.
In poche parole, tante emozioni in pochi minuti. E un documentario decisamente riuscito, a cui, dopo la visione, si continua a tornare con la mente. Cosa, questa, che, come sappiamo, non sempre accade.
Marina Pavido