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Al giorno d’oggi il lavoro te lo devi inventare

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VOTO: 7

Sintomatologia del presente

Se i lungometraggi di produzione italiana – quelli che regolarmente trovano, il più delle volte, immeritato spazio nelle nostre sale – preferiscono tenersi lontano da qualsiasi rischio adagiandosi sugli sfruttatati binari della commedia, allora forse è il caso di guardarsi attorno e recuperare lavori che, sulla breve distanza, riescono a fornire un adeguato ritratto dei tempi che viviamo nel bistrattato Stivale. Uno di questi, lo si intuisce già dal titolo, è il cortometraggio diretto da Mario Vitale Al giorno d’oggi il lavoro te lo devi inventare. Sedici minuti di durata, intrigante costruzione a scatole cinesi dove nulla è come appare ad un primo sguardo, meccanismo narrativo che si biforca in due sottotrame separate per giungere alla medesima conclusione: la società in cui viviamo non fa prigionieri, essendo incentrata sulle più basiche leggi di sopravvivenza.
Vivere del proprio lavoro, almeno nei significati convenzionale che si è soliti attribuire a tale concetto, è divenuta una sorta di utopia. La cosa importante, oggi, è diversificare, andare incontro alle esigenze altrui. Meglio ancora, ovviamente, se esse coincidono con le proprie. Umberto, infatti, è all’apparenza un libero professionista come tanti altri. In realtà un usuraio che cerca compensazione in prestazioni sessuali ben definite piuttosto che banali pagamenti in denaro. La sceneggiatura – opera dello steso regista assieme a Francesco Governa – lo colloca abilmente in quella terra di nessuno dove è difficile effettuare distinzioni troppo manichee: Umberto è evidentemente afflitto da un senso di vuoto impossibile da colmare. Un personaggio assolutamente verosimile che attua i metodi sbagliati per sentirsi vivo. Potrebbe essere chiunque: dal nostro vicino di casa alla persona ben educata che ci regala un gesto gentile al supermercato o dovunque. Merito del corto è proprio quello di penetrare la superficialità di ciò che sembra. Nell’altro segmento narrativo il protagonista è Giovanni, poco più che trentenne, sposato e ancora in cerca di una sua dimensione. Un artista che reindirizza la propria vena seguendo le orme paterne, diventando un falegname rifinito. Sceglie con cura il legno dell’albero su cui lavorare. Poi si mette all’opera. Per concludere cosa? Lasciamo a chi vuole recuperare il film del giovane Mario Vitale (classe 1985) il piacere della sorpresa finale. Risulta però evidente che l’autore conosce bene le regole cinematografiche di costruzione della suspense – colonna sonora e recitazione, con menzione speciale all’ottimo Fabrizio Ferracane nei panni di Umberto, sono di categoria superiore – e riesce ad intrigare attraverso una messa in scena da cinema di genere per parlarci delle problematiche contemporanee di un paese sempre a caccia di pretesti per far finta di non vedere l’avanzare inesorabile di una mutazione genetica irreversibile.
Al giorno d’oggi il lavoro te lo devi inventare è dunque un riuscito ed essenziale apologo sull’istinto predatorio insito nella natura umana, alla disperata ricerca di adattamento da parte di coloro che magari stentano a “tenere il passo” di quelli maggiormente scaltri. Un cortometraggio in cui forma e contenuto, al netto dell’inevitabile necessità di sintesi, coincidono quasi alla perfezione, offrendo allo spettatore la sensazione che il tempo della durata del breve film impiegato per la visione sia un piccolo ma necessario mattone allo scopo di comprendere una qualche verità sullo stato reale delle cose, che a molti fa comodo tenere ben celato. Una fotografia dei sintomi per risalire alla causa; con ognuno libero di calcare il proprio sentiero nella speranza di trovare una qualsiasi risposta.

Daniele De Angelis

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