Un’opportunità andata perduta
Inserire l’accostamento con Quasi amici nel trailer di Non sposate le mie figlie non è stata certo una scelta felice. Non lo è stata, perché l’asticella dell’aspettativa si alza a livelli cui poi bisogna essere in grado di rispondere con una pellicola altrettanto brillante. Ciò che invece accomuna le due commedie, è semplicemente il paese di origine: humor, gag, battute e modo in cui si vuole veicolare il messaggio finale sono semplicemente agli antipodi, e bisogna stare attenti nel dar troppo retta ai trailer, perché la delusione si cela sempre dietro l’angolo. Chiunque, quindi, stia aspettando con ansia l’uscita del film prevista per il 5 Febbraio, può dormire sonni tranquilli, poiché, se per qualsiasi motivo dovesse mancarla, non si perderà nessun capolavoro.
La tematica è piuttosto attuale: Claude e Marie Verneuil sono una tranquilla coppia borghese cattolica e conservatrice che ha cercato in tutti i modi di trasmettere i propri valori alle quattro figlie, nella speranza di ritrovarsi, un giorno, come generi, uomini in grado di incarnare perfettamente quegli ideali. L’intento non sembra venir colto pienamente dalle figlie, le quali scelgono, come compagni di vita, un ebreo, un arabo e un cinese. Traumatizzati da una sorte avversa quanto beffarda, i coniugi ripongono le loro speranze di riscatto nell’ultima figlia, la bella Laure, che, in tutta risposta, gli presenterà Charles, un ragazzo di colore di origini africane…
Il razzismo è il motivo centrale di questa commedia, che, tra uno scambio di battute piuttosto banale intorno a una tavolata e qualche stereotipata caricatura di ciò che è culturalmente lontano da noi, ma anche di ciò che è vicino, qualche risata la strappa. Ma la totale frammentarietà della prima parte fa pagare salato il prezzo all’intera pellicola, che, tuttavia, recupera punti nella seconda parte, mostrando una maggiore fluidità e una volontà di penetrare i personaggi nel loro intimo, umanizzando, nel complesso, la rappresentazione. La volontà di contrapporre l’immobilismo borghese dei coniugi Verneuil al progressismo delle figlie, e, in generale, del contesto che li circonda, facendone delle macchiette tutto sommato buffe nel loro essere completamente fuori dalla realtà, porta gli autori a calcare un po’ troppo la mano su questi aspetti, creando delle inutili forzature che rendono la parte iniziale spezzettata, faticosa da seguire. Una discontinuità che andrà perdendosi man mano che la trama si snoda, poiché, una volta collocato lo spettatore all’interno del contesto, si entrerà nel vivo della storia.
Nel complesso, con un argomento così caldo, soprattutto in questo periodo, si sarebbe potuto far di meglio: i messaggi contro la xenofobia e l’ottusità di certi valori borghesi vengono pronunciati anziché esser rappresentati. Le opportunità che il cinema offre di fare immagini vengono messe da parte, lasciando spazio a didascalici discorsi pronunciati, ora all’interno di una conversazione, ora sotto forma di monologo.
Lo spettatore viene completamente privato della propria facoltà di trarre da sé le sue conclusioni, forse per la paura che non ci riesca. E quando si alzerà dalla poltrona, nei propri pensieri non ci sarà nulla né di più, né di meno rispetto a quando ci si era seduto.
Costanza Ognibeni