Croci e delizie
Le coincidenze arrivano proprio quando meno te lo aspetti e in quanto tali possono rivelarsi portatrici “sane” e involontarie di sorprese e agevolazioni. Altre volte, invece, sono il frutto di una strategia mirata e accuratamente studiata a tavolino da qualche mente sopraffina per cavalcare l’onda o la moda del momento. Quest’ultimo non è il caso di Leoni, l’opera prima scritta e diretta da Pietro Parolin, la cui uscita nelle sale (dal 5 febbraio con Bolero Film) cade letteralmente a fagiolo mentre le pagine di cronaca degli ultimi giorni parlano dell’ennesimo caso di infiltrazione mafiosa al Nord, che ha portato all’arresto di un boss in trasferta veneta e al sequestro di beni per un valore complessivo di 130 milioni di euro. Coincidenza vuole che fra i temi al centro del plot del film ci sia proprio il fenomeno incontrollato e in via di espansione delle infiltrazioni mafiose nelle Regioni settentrionali del Paese. Per quanto riguarda la pellicola, il mercato in questione è proprio quello dello smaltimento dei rifiuti e della raccolta differenziata nel Veneto, da qualche stagione diventato terreno fertile e obiettivo sensibile per gli sporchi affari illeciti della criminalità organizzata.
Ciononostante, riteniamo che nemmeno tale aggancio alla cronaca possa aiutare produzione (CSC Production) e distribuzione a calamitare nei cinema un numero di spettatori maggiore rispetto a quello potenzialmente interessato, a prescindere da quello che è apparso sulle pagine dei giornali. A meno di inaspettati benefit, ci sentiamo di escludere la possibilità che la suddetta coincidenza possa cambiare le sorti al box office di un’opera che, per quanto ci riguarda, non è né zuppa né pan bagnato. Il motivo sta nel fatto che quanto mostrato sul grande schermo dal regista e sceneggiatore veneto fallisce su più fronti. Se lo scopo era quello di accendere i riflettori su un tema scottante, allora il bersaglio è ben lontano dall’essere centrato. In tal senso, come nella migliore delle tradizioni, anche in Leoni, la commedia si fa veicolo per trattare argomenti delicati e controversi, usando la risata come “arma” affilata per colpire questo o quel bersaglio. Ciò però non si verifica, a causa di una pochezza drammaturgica piuttosto tangibile che tratta in maniera superficiale il soggetto preso in esame. La medesima sorte che tocca anche al resto del campionario di argomenti sollevati e bruscamente gettati al tappeto da uno script saturo e inconcludente, incapace di sviluppare o approfondire anche gli altri temi scomodati per l’occasione: dalla crisi imperante alle facili raccomandazioni, dal dramma dei suicidi tra gli imprenditori alla corruzione fuori e dentro dai Palazzi che contano. Il tutto viene scaraventato in un tessuto narrativo che ha il gusto inconfondibile di una minestra riscaldata, a sua volta risultato di un brodo insipido condito con situazioni e personaggi schematici e poveri drammaturgicamente. In alternativa, se lo scopo primario dell’operazione era quello di offrire alle platee un semplice intrattenimento a buon mercato e senza pretese, in tal caso anche questo obiettivo lo si può considerare fallito. Il perché è facile da intuire e sta nell’assenza palpabile di una comicità efficace, in grado di strappare o elargire risate. Si sorride poco e niente, ci si diverte ancora meno, ma quando ciò miracolosamente accade il merito è tutto dello spunto personale ed estemporaneo di qualche interprete, in primis della solita Piera Degli Esposti, qui alle prese con l’indomabile e granitica Mara Cecchin (simile per temperamento e cinismo al personaggio interpretato nella serie Tutti pazzi per amore). Ma il protagonista sulla carta dovrebbe essere Neri Marcorè, ancora lontano anni luce dalla meravigliosa performance regalata ne Il cuore altrove, che veste in maniera piuttosto altalenante e incerta i panni di Gualtiero Cecchin, incallito riccone caduto in disgrazia che, pur di continuare a vivere al di sopra delle sue possibilità economiche, aguzza l’ingegno e si inventa il primo crocifisso realizzato con plastica riciclata; peccato che il piano non porta i frutti desiderati. Il tuttofare di Ascoli Piceno è vittima dell’ennesimo personaggio stereotipato, le cui caratteristiche fanno parte della Commedia all’italiana, ma che per disegno finale assomiglia maldestramente alla brutta copia delle macchiette innumerevoli volte portate sul piccolo e grande schermo da Christian De Sica. Un limite, questo, che incide negativamente tanto sul personaggio quanto sulla performance dell’attore che è stato chiamato a interpretarlo, ossia Marcorè.
E se la scrittura non vale il prezzo del biglietto, la messa in quadro ancora meno. Parolin dimostra di avere gusto e sobrietà nel muovere la macchina da presa, non è lezioso, ma la sua regia appare ancora troppo acerba, accademica e anonima. Anche per questo, un film come Leoni sembra più adatto a una fruizione serale sul piccolo schermo, piuttosto che al buio di una sala cinematografica.
Francesco Del Grosso