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Anişoara

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VOTO: 7,5

Elegia moldava

Moldava di nascita, tedesca d’adozione, Ana-Felicia Scutelnicu è regista che abbiamo scoperto proprio a Trieste, parecchi anni fa. Sono opere cinematografiche, le sue, fortemente legate a determinati territori fisici e dell’immaginario, sempre rivisitati con uno stile molto personale. Essendosi da tempo stabilita in Germania, dove ha anche portato avanti i propri studi registici presso la DFFB (Accademia tedesca di Cinema e Televisione di Berlino), non deve affatto sorprendere questo suo inserimento in Wild Roses, sezione del 35° Trieste Film Festival dedicata nella corrente edizione proprie alle autrici contemporanee più importanti di tale cinematografia.
Il film da lei diretto, Anişoara (Anishoara, 2016), è in programma al Teatro Miela di Trieste sabato 20 gennaio alle ore 18, Ana-Felicia avrà quindi l’onore di riproporre un simile gioiello poco prima che alle 20 l’attenzione si focalizzi sulla grande Margarethe von Trotta, qui col nuovo film Ingeborg Bachmann – Journey into the Desert. Sul lungometraggio della Scutelnicu avevamo già scritto qualcosa a suo tempo, sicché per anticipare al lettore qualcosa relativamente a tale proiezione tocca rimettere mano agli appunti…

Applauditissimo da chi era presente al Teatro Miela nel 2017 (ove il film fa ora ritorno… corsi e ricorsi storici), Anişoara ci aveva rammentato già allora che di Ana-Felicia Scutelnicu svariati anni prima era stato un cortometraggio, Între ziduri – fra i muri, a colpire l’attenzione nostra e degli spettatori triestini, ricevendo peraltro l’ambito Premio del Pubblico al 19° Trieste Film Festival. Andava così delineandosi una poetica molto personale, sofferta, da ricollegare in qualche misura allo spaesamento indotto dal vivere e lavorare in Germania, conservando però un profondo rapporto affettivo con la propria terra d’origine, la Moldova. Un’anima divisa in due, potremmo anche dire. E l’importanza di questo cordone ombelicale sarebbe risultata con evidenza persino maggiore nel sorprendente Panihida, film del 2012 che al Festival di Roma, in una sezione ricchissima di proposte come CinemaXXI, riuscì anche a vincere il premio destinato al miglior corto o mediometraggio: vi si scorgeva già, con una cura formale senz’altro cresciuta, il deflagrare della forte tensione dialettica tra passato e modernità, tra il reiterarsi delle antiche usanze di una società fondamentalmente agricola, tradizionalista, ed il comparire di elementi nuovi, stranianti.
Nel suddetto Anişoara ritroviamo innanzitutto il volto delizioso di Anişoara “Ana” Morari, emerso con grazia ancestrale dal precedente Panihida. Ma soprattutto ritroviamo, con toni persino più graffianti e struggenti, quel clima da “piccolo mondo antico” in rovina, per cui le campagne moldave tornano a essere il palcoscenico di un insanabile conflitto tra stili di vita tradizionali e perniciose contaminazioni. Ovvero l’arrembante Dark Side di un sempre più precario idillio bucolico. La giovane protagonista, che anche nel film si chiama Anişoara, pare racchiudere nel sorriso aperto e in quella botticelliana capigliatura bionda il segreto di un’innocenza in pericolo. Un mondo di pulsioni nuove si apre di fronte a lei, nel valzer delle stagioni che la travolge. Ed anche per quanto riguarda la passione amorosa l’impressione, purtroppo, è che dall’illusione si possa scivolare con estrema facilità nella delusione…

Una ispiratissima Ana-Felicia Scutelnicu ci introduce nel clima di questa sua elegia moldava in chiaroscuro attraverso un prologo di gusto fiabesco, mitopoietico: piccolo e penetrante esercizio di storytelling, affidato al volto scavato di anonimo narratore. E a seguire le quattro stagioni, racchiuse in altrettanti segmenti narrativi con sullo sfondo Orheiul Vechi, uno degli angoli più caratteristici della Moldova grazie al canyon e ai monasteri rupestri che ne segnano inconfondibilmente il paesaggio. Ma non è un intento prettamente turistico quello della regista. Se le immagini maggiormente legate alle coltivazioni agricole e al ritmo delle stagioni possono ricordare il cinema di Franco Piavoli, la sua acuta sensibilità per quanto concerne determinati ambienti e atmosfere, è sufficiente che all’osservazione muta del dialogo Uomo/Natura si sostituiscano scarne tracce narrative, in cui le stesse pulsioni sessuali hanno un ruolo, affinché si affaccino nuove e potenti suggestioni; non così distanti, volendo, da certi percorsi iniziatici, come ad esempio quello tracciato dal maestro Kim Ki-duk in Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera. Seppur diluita nel mood trasognato e rarefatto del film, è proprio una rocambolesca iniziazione alla vita adulta con tutte le sue scoperte, il continuo giocare a nascondino con l’eros, le piccole e grandi amarezze legate alla crescita, ciò cui va spavaldamente incontro l’incantevole ma determinata Anişoara, fino al momento in cui potrà finalmente mettere in pratica quel suo intimo, catartico desiderio di fuga e di autonomia.

Stefano Coccia

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