La sci-fi umanista “ferma” di Nichols
Jeff Nichols dopo il southern drama tutto sudore e America profonda di Shotgun Stories, l’apocalisse (interiore) di Take Shelter e il coming of age fiabesco e solare Mud, si addentra nella fantascienza retrò: gli anni Ottanta dei vari Spielberg, Carpenter e compagnia bella dominano le tonalità (esteriori) di un film sì rispettoso e degno di quel immaginario, ma forse privo di una vera spinta che lo porti fuori da certi schemi, sufficientemente lontano da certe ide(ologi)e già ampiamente sviscerate, declinate e oramai sedimentate nella memoria.
Midnight Special fin dai primi momenti sembra appartenere a quel calderone di medietà propria di certo cinema americano “fermo nelle intenzioni”, saldo a certi immaginari – nello specifico la sci-fi umanista di qualche decennio fa – che fatica a trovare una sua vera ragion d’essere. Ma, forse, questo è un discorso che si adatta bene a tutto il cinema di Nichols, non solo al caso in questione. Un cinema, quello del (relativamente) giovane regista americano, che si muove entro certi solchi tematico-stilistici ben noti a cui – a nostro mondo di vedere, beninteso – manca sempre quello scarto, quel quid che lo renda davvero altro rispetto ad opere affini, sia del passato che coeve.
Fenomeni paranormali, congregazioni religiose, polizia, nerd outsider illuminati, e sopra a tutto il peso (per chi lo circonda) di una luce interiore del bambino protagonista sono gli ingredienti di Midnight Special, e il mood è ancora una volta quello dell’angoscia; ciò incarnato nel volto roccioso e corrucciato di un Michael Shannon (attore feticcio di Nichols) questa volta alle prese con un dono, quello del figlio di appena dieci anni, che più che prodigio illuminante, assume i toni già presenti nelle precedenti opere del regista: quella gravitas che ammanta e sbriciola tutto, quel senso di spaesamento ed impotenza di un’America in piena lotta coi suoi fantasmi.
Insomma, Nichols “gioca” ancora coi temi e coi toni delle sue opere precedenti (fatta eccezione, almeno fino ad un certo punto, per Mud) senza nulla aggiungere, e nemmeno togliere, a quello che appare come un film monco e sbilenco, un monolite fermo e appesantito, una variante poco necessaria di ciò che lo ha preceduto (quel Take Shelter di cui si è tanto parlato) a cui resta difficile spiccare il volo, superare e completare ciò che nei decenni scorsi film come E.T., Incontri ravvicinati del terzo tipo e Starman su tutti erano riusciti ad imporre, a creare: la meraviglia, mondi incantati carichi di luce in cui perdersi, senza poi il bisogno di ritrovarsi.
Fabrizio Catalani