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Life, Animated

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VOTO: 8.5

Grazie Walt!

Per anni il pubblico cinematografico e non solo ha identificato con il personaggio di Raymond Babbitt di Rain Man, interpretato magistralmente da un Dustin Hoffman in stato di grazia, la figura tipo di un uomo affetto da autismo, ma dotato di grandissime capacità mnemoniche come il contare le carte nelle partite di poker o imparare a memoria i numeri di un elenco telefonico. Con questo non vogliamo dire che l’immagine del disturbo del neurosviluppo che Barry Levinson ha restituito sul grande schermo nella pellicola del 1988 sia totalmente sbagliata, offensiva o priva di fondamenta, ma non può e non deve essere circoscritta solamente a quella mostrata nel film, tantomeno riassumerne tutte le possibili varianti e i numerosi caratteri. Insomma, il Raymond di Rain Man è una tipologia di autismo, non la tipologia per antonomasia, perché lo spettro è davvero vasto e varia sulla base della gravità dei singoli casi.
Restando nell’ambito della Settima Arte, per la precisione in quello del cosiddetto cinema del reale, infatti, è possibile imbattersi in documentari che hanno saputo mostrare e raccontare altre tipologie di autismo, scegliendo chiavi e toni diversi. Quanto basta per dimostrare al pubblico e a coloro che non conoscono questa tipologia di disturbo la vastità del suddetto spettro. In tal senso, torna subito alla mente Un silenzio particolare, nel quale il regista e sceneggiatore Stefano Rulli dialoga a due con il figlio Matteo, autistico fin dalla nascita, in un’opera intensa e dolorosa che diventa la storia universale di un amore tra padre e figlio. Non è da meno per quanto concerne il ventaglio di emozioni restituite al fruitore lo struggente, ma allo stesso tempo divertente, Life, Animated di Roger Ross Williams, vincitore del Sundance Film Festival e di altri importanti riconoscimenti nel circuito festivaliero (Hot Docs e Toronto), che abbiamo avuto la fortuna di vedere in anteprima italiana alla seconda edizione del Visioni dal Mondo nella sezione Panorama Internazionale.
Il docu-film racconta l’eccezionale storia del figlio del giornalista Ron Suskind, Owen, un ragazzo autistico incapace di parlare che riesce a scoprire un modo di comunicare unico e speciale: immergendosi nei film animati della Walt Disney. Owen parla fino ai tre anni ma poi un inspiegabile silenzio. Solo grazie ai film animati della Walt Disney, Owen interpretando i personaggi, protagonisti dei film, riesce a comunicare e a esprimere le proprie emozioni e i propri desideri – amore, dolore, gioia tristezza -, e a parlare con i genitori che imparano lo stesso modo di esprimersi. La storia di Owen è una testimonianza di come anche nei momenti più tristi e bui ci sia sempre una speranza. Il documentario segue la vita di Owen dai 3 ai 23 anni e l’importanza dei film animati nel percorso verso la propria indipendenza.
Il regista americano ci regala un ritratto umano e anche familiare in grado di toccare e accarezzare le corde di chiunque, anche quelle dei cuori più gelidi. Di conseguenza è difficile rimanere impassibili, freddi e distaccati davanti a certi passaggi disseminati nella timeline, che a fasi alterne strappano sorrisi o inumidiscono gli occhi. I colori con i quali Williams dipinge sullo schermo questa storia non sono quelli della tragedia e della sofferenza, ma anche quelli della speranza e della gioia. A dominare e ad avvolgere il racconto sono questi ultimi, ma l’autore ha intelligentemente deciso di non  epurare completamente gli aspetti e gli episodi più dolorosi della vita di Owen e della sua famiglia, facendoli emergere dalle parole e dalle riflessioni del protagonista e dei suoi parenti: dalla scoperta del disturbo agli episodi di bullismo, dall’allontanamento dalla scuola alla separazione dalla fidanzata Emily. In tal senso, un film come Life, Animated ci dimostra ancora una volta che si può parlare della “malattia” anche con registri che non siano per forza di cose quelli del dramma, avvalendosi di toni più leggeri e ironici, ma mai offensivi e superficiali. L’enorme rispetto dimostrato da Williams e dai suoi collaboratori nei confronti del tema, ma soprattutto della storia e delle figure che la animano, ne è la dimostrazione, oltre che la prova concreta che con il giusto approccio a un argomento così delicato si può evitare di cadere nelle sabbie mobili della spettacolarizzazione del dolore.
Il cineasta americano firma un’opera che viaggia sui binari della favola e del diario. Per farlo si affida completamente alle parole e alla forza intrinseca delle immagini, sia delle animazioni dei grandi classici di Walt Disney (da La Sirenetta a Peter Pan, da Dumbo a Bambi, passando per Aladdin, Fantasia e Pinocchio) che di quelle realizzate appositamente per il film, di diverso stile ma di ottima fattura (bianco e nero a bozzetto), Il loro perfetto mix rappresenta il vero punto di forza di un’opera che conquista e appassiona, che speriamo trovi presto una distribuzione nel poco lungimirante mercato nostrano.

Francesco Del Grosso

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