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L’abbandono

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VOTO: 7

Ribellione di una suora

Il terzo film presentato al Ravenna Nightmare nell’ambito dello Showcase Emilia-Romagna – cinema e territorio, dedicato ai film indipendenti prodotti sul territorio, è un film complesso, claustrale, ambientato quasi interamente nell’ex monastero di San Michele in Bosco, sui colli bolognesi, oggi una clinica. L’abbandono, di Ugo Frosi, presente in sala alla proiezione con gran parte del cast, affronta infatti un tema controverso, quello della teologia e dell’eresia. La trama, tratta da una storia vera, basata sulle memorie del Vescovo Scipione de Ricci, è semplice: nel 1781 il vicario del Vescovo viene mandato ad investigare in un piccolo convento sui comportamenti di una suora, Suor Irene, accusata di scandalo ed eresia.

Ne viene fuori un film chiuso, dove il chiostro ottagonale rappresenta il mondo, un piccolo universo con i suoi rituali, immerso nel senso di colpa cattolico, instillato per controllare e deprivarci delle nostre potenzialità, che viene sconvolto dalla ribellione di una suora, dal suo pensiero libero, dal suo non conformarsi alle regole, dal suo negare ogni dogma e morale corrente, eresia appunto, che verrà anche giudicata da un annoiato Inquisitore. Suor Irene insegna a due consorelle il piacere, l’Eros, contrapposto ad Anteros. Nel nostro mondo, dice il regista, l’Eros viene sempre recluso, il piacere va procrastinato; Suor Irene lo libera, usa la sensualità per sovvertire le leggi umane ed innalzarsi. Significativa e di impatto fotografico la scena erotica tra le tre suore, tre come la triplice Ecate, i sensi che si contrappongono allo spirito, perché, come ben sintetizza il frate, “l’amore può sia illuminare che bruciare”.

L’abbandono è un film complesso perché immerso nella cultura cattolica di cui rompe gli schemi e gli a priori per aprirsi verso l’infinito; l’uomo che alla fine si libera nella natura.
C’è un ritmo all’interno del film, nel suo svolgimento, che lentamente va assorbito; la fissità dell’immagine come scelta registica per dare più impatto al cambiamento. Ecco, è proprio in tale ritmo, nella lentezza esasperata, nell’eccessiva prolissità, il punto debole di questo film altrimenti interessante: pecca di autocompiacimento.

Michela Aloisi

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