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Ederlezi Rising

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VOTO: 6.5

Le conseguenze dell’amore

Tra gli undici titoli in concorso al 18° Trieste Science + Fiction Festival particolare attenzione era rivolta a Ederlezi Rising, opera prima di Lazar Bodroža, approdata sugli schermi della kermesse giuliana in anteprima italiana. Un’attesa, la nostra, legata non solo alle numerose apparizioni nel circuito festivaliero internazionale che hanno portato la pellicola del regista serbo a fare tappa nei mesi passati in una serie di prestigiose vetrina dedicate al cinema fantastico e non solo come il Sitges, il Raindance e il Fantaspoa, ma in primis per la presenza nel cast di Stoya. Icona del cinema porno, attivista per i diritti delle donne, collaboratrice di numerose testate (tra cui The New York Times, The Guardian, VICE) e ora anche autrice del libro “Philosophy, Pussycats and Porn”, l’attrice statunitense ha avuto qui la possibilità di misurarsi con un film nato al di fuori della produzione hard. Ederlezi Rising è, infatti, il suo battesimo di fuoco in un cinema diciamo più convenzionale rispetto a quello che ha frequentato sino ad oggi. In tal senso, Stoya non è la prima e probabilmente non sarà l’ultima a oltrepassare la linea, perché prima di lei lo hanno fatto tra gli altri Rocco Siffredi, Francesco Malcom e Selen, ma la curiosità da parte del pubblico nel vederla alle prese con una performance attoriale vera e propria non poteva che essere comunque alta.
La risposta ce la fornisce direttamente lo schermo con il film di Bodroža che di fatto segna un doppio esordio: quello del regista sulla lunga distanza e quello dell’attrice lontana dall’industria del cinema per adulti. Ederlezi Rising ha rappresentato, dunque, un duplice banco di prova tanto per chi ha lavorato dietro la macchina da presa quanto per chi si è espressa davanti. Entrambi ne sono usciti a testa alta, ciascuno a proprio modo utile alla causa di un’opera che, seppur alle prese con difficoltà oggettive e limiti strutturali che prescindono dalla condizione d’indipendenza low budget sulla quale è stata improntata, ha comunque portato a casa un risultato più che dignitoso. Da una parte Bodroža ha messo a disposizione della confezione una serie di soluzioni visive interessanti che denotano uno stile e uno sguardo ancora acerbi ma dal cristallino margine di evoluzione, dall’altra la Stoya ha saputo far suonare quelle corde recitative messe nel cassetto per dare spazio alle esibizioni corporee richieste dalla sua filmografia hard. Qui si cala nei panni della bella e algida androide Nimani (che riporta alla mente la Leeloo de Il quinto elemento), costruita per accompagnare un astronauta russo di nome Milutin nel lungo viaggio verso Alfa Centauri e progettata per esaudire tutte le sue richieste. Il profilo di Milutin mostra alcune problematicità nella vita privata: maltrattato da varie donne in passato, su ordine della Ederlezi viaggerà accompagnato proprio ad un androide plasmato in base al suo profilo psicologico. Mentre l’astronave viaggia verso i confini della galassia, i due, unici passeggeri, si occupano della gestione e della manutenzione della nave e, al contempo, iniziano una torbida relazione sessuale. Ma quando l’amore ci mette lo zampino il rapporto tra i due e la missione che sono stati chiamati a compiere subirà un drastico cambio di rotta.
Il plot e i suoi personaggi, le cui radici nascono sulle pagine dell’omonimo racconto breve di Zoran Neskovic, si vanno ad iscrivere per caratteri genetici nella tradizione dello space opera, nel quale il cineasta serbo segue alla lettera le lezioni di quei capisaldi che hanno dettato le regole e con i quali giocoforza chiunque decida di misurarsi con il genere deve suo malgrado fare i conti. Ovviamente il confronto con le pietre miliari non regge e non andrebbe nemmeno, visto l’abisso che determina la distanza siderale con le celebri pellicole del passato (da 2001: odissea nello spazio a Solaris), essere avviato in fase analitica. Per cui lo mettiamo da parte per concentraci su come Bodroža ha tentato di sviluppare i temi al centro dello script e su come tecnicamente ha trasposto il tutto.
Ederlezi Rising parte come un film sulla creazione e lo resta in superficie, ma a conti fatti a dominare è un livello più pragmatico che focalizza il baricentro drammaturgico sul tema delle relazioni affettive tra esseri, indipendentemente se umani oppure no. E nel mentre dissemina strada facendo spunti di riflessione di natura sociale e politica. Tuttavia, quello del cineasta serbo resta un film derivativo che si alimenta di echi e di immaginari per provare a fornire un personale upgrade tanto al genere – e nello specifico al filone di riferimento – quanto alle stratificazioni tematiche. Ne viene fuori una storia d’amore surreale nello spazio intergalattico dove l’autore, con pennellate di lirismo (vedi la danza anti-gravitazionale di Nimani) e di melò, si avventura con passo ora sicuro e ora più timido nell’ormai secolare scontro/incontro tra uomo e macchina e sul tentativo del primo di umanizzare la seconda cercando in essa i semi di sentimenti reali e non artificiali. Sull’argomento la letteratura e il cinema si sono pronunciati in svariate occasioni e con esiti decisamente più alti e approfonditi (vedi Blade Runner in primis e il più recente Ex-Machina di Alex Garland), ciononostante Bodroža con la complicità della Stoya riesce a dire e mostrare qualcosa che vale la pena di essere ascoltata e vista. E lo fa con una serie di approcci carnali tra i due estremi che non hanno nel sesso un accessorio fine a se stesso, ma un elemento per completare il racconto e per scandire l’evoluzione del discorso. Bodroža ha il merito di desessualizzare il corpo della protagonista, epurando la messa in quadro da ogni tentazione voyeuristica e pornografica che potevano fisiologicamente prendere il sopravvento con la sola presenza di Stoya. Per evitarlo, l’autore si appoggia ad una composizione figurativa e pittorica che richiama le creazioni di Malevich e iconograficamente ai film di propaganda russa per dare vita a inquadrature che allontanano la confezione e il design da quella visione. Un design decisamente più efficace negli interni che nelle sortite spaziali, con l’uso insistente dei neon ad arricchire gran parte delle inquadrature.

Francesco Del Grosso

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