Professione detective
Davvero una lieta scoperta, L’ultimo tango – Spaghetti Noir. Il lungometraggio scritto, diretto e interpretato da Giuseppe Iacono nel 2015, da noi recuperato per vie traverse, rappresenta senz’altro un esempio virtuoso; ed è cioè la dimostrazione di come, pur con pochi mezzi, si possa portare a casa un prodotto cinematografico quantomeno fresco e accattivante, se alla base vi sono passione cinefila, interpreti credibili, qualche felice intuizione registica e, soprattutto, uno script armonico, che strada facendo non smette mai di suscitare la curiosità degli spettatori. Le partecipazioni ad alcuni festival internazionali, condite in certi casi da qualche riconoscimento ufficiale, sembrerebbero poi certificare l’esportabilità di un racconto, che guarda a rodati archetipi cinematografici come pure a tratti localistici piuttosto accentuati.
In buona sostanza, Giuseppe Iacono si è divertito a proiettare l’investigatore privato Alberto Tango, il suo personaggio, in situazioni da detective story americana anni ’40, rapportate però alla realtà di un piccolo centro abitato della Campania di oggi, tra azioni meschine e momenti di generosità, tra storie di corna e aiuti inaspettati al poveraccio di turno finito nei guai. Oltre a risolvere con una certa dedizione casi più o meno rilevanti, dal rapimento di una ragazza dai trascorsi difficili al cagnolino scomparso della bimba sua vicina di casa, il detective deve dar sfoggio di grande dignità anche nell’affrontare quei problemi di denaro, in parte causati dai debiti del padre: Tango sì ma con poco “cash”, verrebbe da ironizzare.
Ad ogni modo le differenti tracce che vanno a intrecciarsi, in un plot senza dubbio assai articolato, tengono viva l’attenzione fino alla fine. E a tale risultato contribuiscono sia la verve dello Iacono attore, sia le interazioni quanto mai vivaci del protagonista con alcuni comprimari di lusso, tra cui la sempre grintosa Lucianna De Falco, l’imbranato e divertentissimo aiutante impersonato da Giuseppe Di Meglio, ed un Renato Scarpa che veste addirittura panni… divini.
La chiave drammaturgica del film è almeno in parte l’alternarsi dei momenti di tensione, scene talora ben girate anche sul piano dell’azione, con uno black humour in salsa partenopea, che rappresenta forse la pista più originale, creativa dello script. Vista la tanta, forse persino troppa carne al fuoco, non manca purtroppo qualche passaggio di sceneggiatura un po’ forzato, affrettato, meno motivato di altri; oppure personaggi che avrebbero beneficiato magari di un approfondimento ulteriore. Ma la godibilità dell’intreccio resta elevata. Ed anche le location risultano in genere ben sfruttate. A partire da quel magnifico scenario ischitano, che nell’immaginifico prologo in costume fa da sfondo a un curioso segmento onirico, sul quale il regista ha riversato alcuni degli accorgimenti più bizzarri dell’intero copione. A dimostrazione del fatto che, nella piccola factory isolana di Giuseppe Iacono, le idee di certo non latitano.
Stefano Coccia