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L’ora più buia

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VOTO: 6

Winston Churchill come non lo avete mai visto

Quando pensiamo ad un film del cineasta inglese Joe Wright, inevitabilmente ci viene in mente una messa in scena dove a fare da protagonisti sono vorticose carrellate, fluidi movimenti di macchina, sontuose ambientazioni ed un commento musicale che, unito a tutto il resto, sta a conferire all’intero prodotto quasi – a tratti – la forma di una vera a propria coreografia. Tale personale messa in scena ben si addice a lungometraggi come Orgoglio e Pregiudizio (2005) o ancor di più ad Anna Karenina (2012), ad esempio. Naturale, dunque, una viva curiosità nel momento in cui si viene a sapere che Wright ha deciso di raccontare nientepopodimeno che le vicende del Primo Ministro britannico Winston Churchill, eletto quasi inaspettatamente ed alle prese con lo spinoso dilemma riguardante una possibile trattativa di pace con la Germania nazista. E così ha fatto la sua apparizione alla 35° edizione del Torino Film Festival – all’interno della sezione Festa Mobile – L’ora più buia (in originale Darkest Hour) con un convincente Gary Oldman nell’impegnativo ruolo di Churchill.
Malgrado, dunque, un’ambientazione più austera e molto, molto meno “barocca” – se così si può dire – rispetto ai suoi precedenti film, anche in questo caso il celebre cineasta inglese è riuscito a dar vita ad un prodotto convincente e ben confezionato nella forma, autocompiacente sì, ma senza per forza essere pomposo o eccessivo, che, grazie anche alle, in questo caso, necessarie musiche dell’ormai storico collaboratore Dario Marianelli (Premio Oscar nel 2007 per la colonna sonora di Espiazione, per la regia dello stesso Wright) ci regala un convincente ritratto non solo del Primo Ministro Churchill, ma anche di un’epoca – quella dell’Inghilterra degli anni Quaranta – fedele e studiata fin nel minimo dettaglio.
Siamo d’accordo, dunque, per quanto riguarda la validità della forma che Wright ha voluto conferire al tutto, così come per la sua accoppiata con il suddetto commento musicale. Ma allora, cos’è che, in fin dei conti, di un lavoro come Darkest Hour proprio non convince? Al di là della buona performance di Oldman, malgrado la presenza di altrettanti importanti nomi all’interno del cast – Kristin Scott Thomas fra tutti, nel ruolo della signora Churchill, ma anche Lily James nel ruolo della giovane segretaria – sono proprio i personaggi (neanche troppo) secondari a lasciar desiderare per quanto riguarda la loro caratterizzazione. Troppo stereotipata, al punto da risultare addirittura impersonale la figura della moglie del Primo Ministro, così come poco convincente la stessa giovane segretaria: la scelta di raccontare le vicende di Churchill attraverso il suo punto di vista è riuscita solo a metà, dal momento che il personaggio stesso non riesce ad essere incisivo quanto basta, non riesce a creare un necessario dialogo con il pubblico, al fine di essere preso come punto di riferimento.
Ultima considerazione: dato il tema trattato, uno dei più alti rischi di un lungometraggio come Darkest Hour era proprio quello di scadere pericolosamente nell’autocelebrazione e in uno spiccato nazionalismo. E così, purtroppo, è stato. Indubbiamente, dato il suo carattere “prorompente” un cineasta come Joe Wright appare più adatto a mettere in scena trasposizioni di importanti romanzi in costume, come già ha fatto con successo. Almeno vengono evitati imbarazzanti scivoloni.

Marina Pavido

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