Una drammatica fotografia della realtà si trasforma in favola per bambini
Ci sono film che nascono per raccontare storie; e film che usano le storie come pretesto per raccontare qualcos’altro. Il mio amico Nanuk è uno di questi: codiretto da Roger Spottiswoode e Brando Quilici, questo tenero lungometraggio narra la storia di amicizia tra un cucciolo di orso polare e il piccolo Luke. Dopo aver accidentalmente rinvenuto l’orsetto nel garage di casa, il giovane protagonista, invece di farsi spaventare, stringe con lui da subito un forte legame e si fa carico di una importante missione: riportarlo al più presto dalla sua mamma. Inizia così un’indimenticabile avventura fra i ghiacci. Siamo nel bel mezzo delle terre artiche, nel Canada Settentrionale, e il viaggio si rivelerà man mano un’opportunità di crescita per Luke e il suo tenero amico, e di conoscenza per chiunque li seguirà al di qua dello schermo: il film offre, infatti, una esaustiva quanto toccante panoramica di ciò che sta accadendo a migliaia di chilometri dal nostro belpaese; una distanza che ci permette di ignorare certi fatti, ma non di evitarne gli esiti.
A causa del surriscaldamento globale, e di tutte le tragiche conseguenze sulla fauna a esso legate, negli ultimi anni gli orsi polari si stanno spingendo sempre più frequentemente all’interno dei centri abitati alla disperata ricerca di cibo. Gli squilibri ambientali e i rischi che ciò comporta sono effetti che star qui a menzionare diviene a dir poco pleonastico; ma un film che apra i nostri intorpiditi occhi su questa realtà non risulta affatto superfluo. Se a ciò si aggiunge che la regia delle sequenze artiche è stata affidata al figlio di uno dei più grandi documentaristi dei nostri tempi, che ne ha ereditato tutte le capacità, ecco che quello che si presenta come un banale film per bambini diviene molto di più. La maestria con cui sono state girate le scene in mezzo ai ghiacci renderà anche il più scettico dei genitori contento di aver accompagnato il proprio pargolo alla proiezione di questo piccolo capolavoro della documentaristica; una bravura che sopperisce tranquillamente a quella che nel complesso si presenta come una trama poco originale e di per sé non troppo coinvolgente. Anche i dialoghi, perfettamente inquadrabili in una categoria che ben conosciamo – bambino sognatore, incompreso e deriso da una società di adulti troppo pragmatica – sono sdoganati da tempo: l’associazione tra il piccolo Luke con il suo amico Nanuk e il piccolo Eliot con il suo amico ET è quasi inevitabile, soprattutto per i nostalgici cinefili che hanno difficoltà a separarsi dai meravigliosi anni 80.
Sebbene, quindi, il film di per sé non rappresenti nulla di particolare, il consiglio di non perderlo persiste, poiché c’è un tocco di originalità dato dalla possibilità di conoscere più da vicino una realtà che altrimenti ci risulterebbe completamente estranea: le ricorrenti tempeste di ghiaccio a cui due avventurieri dovranno far fronte, l’incontro con gli Inuit, il perpetuo scioglimento di intere frazioni di ghiaccio, annesso ai rischi di annegamento, sono solo alcune delle piccole perle di conoscenza che questo film ha da offrire. La volontà di attirare i bambini, ma non solo, alla visione di quello che potremmo definire un documentario romanzato, traspare in ogni singolo fotogramma.
Se pertanto decidiamo di utilizzare il grado di arricchimento come unità di misura della riuscita di un film, non possiamo che dare a Il mio amico Nanuk, un giudizio più che positivo.
Costanza Ognibeni