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Lifechanger

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VOTO: 5.5

Di corpo in corpo

Drew è il detective Freddie Ransone, un poliziotto che ha appena lasciato una casa in fiamme con dentro due cadaveri. In precedenza, Drew era Emily Roberts, una ragazza che è diventata uno di quei corpi morti, e con il passare dei giorni diventerà il dentista Sam Richardson, la sua assistente Rachel e molti altri ancora. Ciò accade perché Drew ha la capacità di spostarsi di corpo in corpo e di impadronirsene temporaneamente, assumendo identità, abitudini e ricordi della propria vittima. Non è però sempre stato così: in passato, rimaneva a lungo sempre nello stesso corpo e si era innamorato di Julia. Nei suoi cambiamenti, Drew vorrebbe avvicinarsi nuovamente a lei e ciò finirà con l’essere la rovina di molti, persino di se stesso.
Il protagonista di Lifechanger non avrà per lo spettatore, se non negli ultimissimi fotogrammi, un volto. Avrà un nome come recita la sinossi e una voce (nel voice over), ma non una presenza corporea definita e definitiva. Questo perché Drew è un mutaforma che ogni tre giorni deve cambiare aspetto e prendere possesso di un nuovo corpo per continuare a sopravvivere. Lo impone la sua natura, la stessa che però non gli impedirà di innamorarsi. E allora ecco aprirsi per lui e per il plot sprazzi di dolcezza nell’orrore generale che avvolge e colora di rosso sangue la timeline. Mutilazioni, aggressioni, carotidi recise, violenti amplessi, cadaveri vivisezionati e poi dati alle fiamme, sono all’ordine del giorno e della notte, con il protagonista che nel corpo di turno va a trovare una nuova casa costretta ad ospitarlo. Ma la permanenza durerà solo pochi giorni, con il disperato tentativo di rallentare il processo di decomposizione sniffando cocaina o ingurgitando antibiotici e antidolorifici, sarà vano. Insomma, una sorta di mantide religiosa che cambia pelle come un camaleonte per adescare le sue prede usando modi gentili e l’attrazione sessuale.
Opera quarta di un regista multitasking che ha sia sulla breve che sulla lunga distanza frequentato assiduamente il fanta-horror e il crime, Lifechanger fa dello splatter la lingua con la quale comunica visivamente e del concetto della rappresentazione del disfacimento corporeo, passaggio obbligato per le varie fasi di metamorfosi, il baricentro drammaturgico. Nelle intenzioni di Justin McConnell c’è dunque il tentativo di fornire al fruitore un personale capitolo della rappresentazione cinematografica della mutazione della carne tanto cara alla poetica cronenberghiana, ma anche allo Tsukamoto degli esordi. Intenzioni però che in gran parte si fermano suo e nostro malgrado alla carta, poiché la trasposizione non è stata capace di tramutare in pratica la teoria e le suddette fonti d’ispirazione. Il tutto ha creato uno iato e una lontananza tra ciò che sarebbe potuto essere e invece non è stato, ossia un film in grado di unire la sostanza alla forma.
Il risultato, che abbiamo visto in anteprima italiana nella competizione lungometraggi della prima edizione di Oltre lo specchio, è un body-horror che alla macelleria truculenta per consumatori assuefatti alterna un vorrei ma non riesco che aleggia per tutti gli 85 minuti. La debolezza strutturale dello script e la discontinuità nella messa in quadro, che in entrambe le fasi presentano momenti di estrema lucidità (vedi il pre-finale davvero intenso del face to face tra Drew nel corpo di Robert e Julia) e frequenti cadute (vedi l’intera parte in cui Drew si trova nel corpo di Sam Richardson), impediscono di raggiungere la soglia della sufficienza, altrimenti alla portata di un film e di un cineasta che di idee sembravano averne. Peccato che tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il mare.

Francesco Del Grosso

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