Il ‘per sempre’ (può) esiste(re)
«L’uomo mortale non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia. Nomi e parole sono questo» ascoltiamo verso la conclusione dell’ultimo lavoro firmato da Pupi Avati, il quale, sembra volutamente omettere Leucò all’interno della sceneggiatura (stilata a quattro mani col figlio Tommaso) ed è un approccio che compie in altri momenti in cui la letteratura fa capolino, ma senza retorica né altezzosità, anzi, in un periodo della vita dei protagonisti, sotto forma di gioco.
Queste parole così dense e umane e che, al contempo, sono coerenti con l’incipit e tutto il fil rouge della storia d’amore tra Nino e Rina (diminutivo di Caterina), sono tratte dal dialogo “Le streghe”, in cui Leucò (traduzione greca di bianca e diminutivo della dea Leucotea, la dea bianca) dialoga con Circe e la famosa frase viene ‘proferita’ proprio da quest’ultima [Cesare Pavese, da “Dialoghi con Leucò”, Einaudi, pp.143-149].
Nell’economia della storia – così delicatamente scritta (liberamente tratta dal libro “Lei mi parla ancora” di Giuseppe Sgarbi, edito da Skira e pubblicato adesso da La Nave di Teseo) – è come se quelle parole pronunciate quasi sul finale, chiudessero coerentemente un cerchio, cominciato, nella prima scena a letto – molto toccante e naturale – tra Nino e Rina anziani e proseguita, tra salti temporali e ricordi, con La Promessa tra loro da giovani. Nino (un Renato Pozzetto che dimostra di saper suonare bene – per merito suo, di chi lo dirige e dell’attore con cui interagisce – corde diverse da quelle a cui siamo stati abituati) e Caterina (interpretata da Stefania Sandrelli, di cui resta il sorriso e il non detto – quest’ultimo nell’accezione più positiva del termine) sono sposati da 65 anni. Il solo numero, a ognuno di noi, tanto più appartenente alle nuove generazioni, fa venire la pelle d’oca e soprattutto tanti interrogativi, tra cui (forse) il più banale, ma spontaneo: si può davvero stare insieme, con amore, per così tanto tempo? I due si sono innamorati sin dal primo momento in cui si sono visti (a interpretarli da giovani gli affiatati Lino Musella e Isabella Ragonese) e, una nota importante da evidenziare, è che non viene edulcorato nulla: assistiamo a momenti che hanno il sapore di un tempo che è stato e che oggi ci sembrerebbe anacronistico, invece ha semplicemente il sapore della spensieratezza mista a un tempo cristallizzato che, probabilmente, a noi, oggi, risulta eterno. Eppure anche questa coppia così innamorata ha avuto dei down, per poi rafforzarsi più di prima. «Se tutto è imperfetto in questo imperfetto mondo, l’amore invece è perfetto nella sua assoluta e squisita imperfezione» (asserisce lo scudiero Jöns/Gunnar Björnstrand ne Il settimo sigillo di Ingmar Bergman).
Nel presente, quando Caterina viene portata via, si sa già che la durata del ricovero sarà breve (c’è poco da fare per la sua salute), l’uomo sembra frastornato, non sa dormire in quel letto senza di lei, siede sulla poltrona vicino alla finestra in attesa del ritorno. Commuovono la dedizione verso la donna della propria vita così come l’atteggiamento protettivo della Figlia (una Chiara Caselli che lavora in sottrazione, non imita l’originale, ma cerca una propria strada).
Al cinema dovrebbe essere così e, in generale, quando si maneggia l’Arte: nulla dovrebbe essere lasciato al caso e un regista dell’esperienza di Avati sa bene la sinfonia da (e)seguire. Non è un caso che nella letteratura inserita con una chiave così naturale ci sia Pavese, che proprio nei dialoghi precedentemente citati, affrontava anche il carattere ineluttabile del destino (e lo ricorda il fratello di Rina, Bruno, a cui dà volto Alessandro Haber) e la necessità del dolore. Alla morte di Caterina, la figlia, nella speranza di aiutare il padre a superare la perdita della compagna di un’esistenza, gli affianca un editor con velleità da romanziere per scrivere, attraverso i flash di una vita trascorsa insieme, un libro sulla loro storia d’amore. Amicangelo (incarnato da un impeccabile Fabrizio Gifuni che ci prende per mano nell’incontrare in profondità Nino, provando insieme a lui anche le spigolosità di quest’uomo che si è chiuso nel dolore e nella nostalgia) è uno scrittore che ha alle spalle un divorzio costoso e complicato e si presenta agli spettatori con un cinismo dietro cui, intuiamo, potrebbe celarsi altro. Accetta il lavoro solo per soldi e confidando che la figlia, essendo un’editrice, pubblichi il suo ultimo romanzo.
È un incontro tra generazioni, tra uomini che provengono da tempi e contesti differenti. Nino, d’impatto, si trincera dietro una corazza e nelle abitudini quotidiane – coccolato da Clementina (Serena Grandi) e Giulio (Nicola Nocella). Pian piano Amicangelo (e il nome è parlante più che mai) riuscirà a trovare la chiave per far riaprire il cuore di Nino, il quale arriva a raccontarsi in maniera disarmante, mentre a lui tocca mettersi nei panni degli altri – proprio come fa un attore -, mettendo nero su bianco l’Amore con la ‘A’ maiuscola, non inventato, ma vissuto. Non vogliamo andare oltre sul piano dello sviluppo narrativo, quello che ci sentiamo di dirvi è che Lei mi parla ancora è un film che può accarezzare e pizzicare le corde del cuore di ciascun spettatore a seconda di quanto ci si lasci andare e trasportare. In quest’opera si riconosce la mano di Pupi Avati per le atmosfere che crea, per lo sguardo con cui sta sui personaggi, ma, a un tratto, ci si dimentica di chi c’è dietro la macchina da presa per farsi coinvolgere da una vicenda dal sapore unico, che rivive nella contemporaneità grazie a un incontro.
«Lei mi parla ancora è una storia che si fonda sull’assenza, nella convinzione che non esista chi è più presente dell’assente. L’assente della nostra storia si chiama Caterina Cavallini. A ottantanove anni, la gran parte dei quali trascorsi accanto al suo sposo Giuseppe Sgarbi, ha lasciato il mondo. Questo l’incipit del romanzo rievocativo del loro lungo matrimonio che lo stesso Sgarbi scrisse coadiuvato da Giuseppe Cesaro, un ghost writer romano. E questo è anche l’incipit del mio film che tuttavia anziché illustrare gli eventi rievocati in quelle pagine, indugia su ‘come’ quel romanzo fu scritto. Sull’incontro fra due uomini di età, cultura, visione della vita, diametralmente opposti.
Così, senza tradire in alcun modo lo struggimento che produce l’opera letteraria, sono riuscito a far diventare questo racconto cosa mia portando la cinepresa nel backstage di questa fucina creativa», ha dichiarato il regista ed è anche questo uno degli elementi vincenti, quasi a volerci richiamare alla dialettica.
«Non partir, non partir
Tu sei chiusa nel mio cuor, lo sento
Questo amore è tutto il mio tormento
Non partir
Forse tu, forse tu
Vai lontano per cercar l’oblio
Vuoi lasciarmi senza dirmi addio
Forse tu
Perché non sai che l’amore è una fiamma
Che brucia e divampa nel cuor
E la sua febbre distrugge e divora
Chi sol crede ancor nell’amor
Non partir, non partir
Tu non sai quanto mi fai soffrire
Lentamente mi vedrai morire
Non partir»
(da “Non partir” di Fred Buscaglione).
Ognuno reagirà di fronte a quest’opera a seconda della propria sensibilità, ma nessuno (probabilmente) potrà negare il romanticismo (non stucchevole) e la magia di una malinconia che – può darsi – non proveremo mai o avremo la fortuna di intercettarla sulla nostra strada anche solo grazie alla Settima Arte.
Il lungometraggio, targato Sky Original, è disponibile da lunedì 8 febbraio su Sky dalle h 21.15, oltre che on demand e su Now Tv. L’opera è stata realizzata da Bartlebyfilm e Vision Distribution in collaborazione con la storica Duea Film dei fratelli Avati. Oltre ai già citati, completano il cast Matteo Carlomagno (Il Figlio della coppia), Gioele Dix (agente letterario di Amicangelo), Giulia Elettra Gorietti (attuale compagna di Amicangelo) e Veronica Visentin (a servizio da anni a casa di Nino e Rina).
Maria Lucia Tangorra
Approfondimento: Conferenza stampa di “Lei mi parla ancora”