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Le regole del caos

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VOTO: 5

Un’occasione sprecata

Disse Henry Adams: “Il caos spesso genera la vita, laddove l’ordine spesso genera l’abitudine”. Questo è il senso ultimo del nuovo film di Alan Rickman, Le regole del caos (A Little Chaos, nell’originale), che si tuffa nel lontano 1682, alla corte del Re Sole, per raccontare la creazione di Rockwork Grove, ambiente unico e magnifico del palazzo di Versailles, all’epoca in costruzione. Sabine De Barra (Kate Winslet), donna volitiva e talentuosa, lavora come paesaggista nei giardini e nelle campagne francesi. Un giorno, inaspettatamente, riceve un invito molto particolare: Sabine è in lizza per l’assegnazione del prestigioso incarico alla corte di Luigi XIV (Alan Rickman). Se, al primo incontro, l’artista della corte del Re Sole André Le Notre (Matthias Schoenaerts) appare disturbato e indispettito dall’occhio attento di Sabine e dalla sua lungimirante natura, alla fine sceglie proprio lei per realizzare uno dei giardini principali del nuovo Palazzo di Versailles. Malgrado il  poco tempo a disposizione, il valore della ricerca artistica individuale di Sabine, del suo “little chaos” sarà presto riconosciuto anche da Le Notre. Nonostante i meravigliosi paesaggi e le fotografie ricche di profumi autunnali, il racconto non regge alcun confronto con l’impianto scenico che lo abbraccia: la storia, per quanto affascinante, si lascia smembrare da tempi morti, flashback ridondanti, e dialoghi fin troppo zuccherosi. Kate Winslet, lascia il segno su ogni singola inquadratura, ma la sua magnifica presenza getta in totale ombra Matthias Schoenaerts, statico, inespressivo e incongruo al ruolo che interpreta.  Davvero un peccato il risultato finale di questa produzione, perché l’idea iniziale è invece stimolante e ricca di spunti: si guarda all’arte come ad un rebus ordinato di idee eccezionalmente caotiche, come al flusso inafferrabile e ineffabile di un vento emozionale, di cui si può tracciare solo la morbida essenza. Tolte le geometrie strette e i calcoli scrupolosi, nasce dal tratto dell’artista una ventaglio colmo di sfumature lontane e  vicine alla forma regolare.  “Il modo in cui Sabine interpreta la natura e l’arte attraggano Le Notre più di ogni altra cosa. Le Notre  ha un approccio molto matematico – dice il regista – tutti i suoi progetti sono molto geometrici e basati su principi matematici. Tutto è, e diventa, calcolo. Quando Sabine entra nella sua vita personale e professionale, qualcosa in lui comincia a muoversi perché sente in lei la sua stessa creatività. Lei lo aiuta a riscoprirsi”. Purtroppo questo viaggio verso la riscoperta, nonostante le intenzioni registiche, si conclude come  piatta e banale storia d’amore dove l’arte diventa puro accessorio:  il film naufraga dunque nella melassa, senza alcun’ancora su cui appoggiarsi.

Federica Bello

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