Franco vs. John Lennon
Una storia vera, raccontata con sentimento e sottile ironia, per accaparrarsi poi un bottino davvero ragguardevole all’edizione 2014 dei Premi Goya, ovvero gli Oscar del cinema spagnolo: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura, miglior attore protagonista, miglior attrice esordiente e persino miglior colonna sonora, grazie al provvidenziale intervento del noto chitarrista statunitense Pat Metheny. È un’accoglienza trionfale, quindi, quella che è stata tributata in Spagna al film di David Trueba, La vita è facile ad occhi chiusi, distribuito ora anche in Italia da EXIT media. Speriamo che il pubblico più attento lo noti, perché la piacevolezza del picaresco e vivace lungometraggio non è per niente disgiunta da uno sguardo acuto e intelligente sulla società spagnola, rappresentata qui negli ultimi anni dell’austero, tetro, reazionario regime di Franco.
Il regista, fratello dell’altro cineasta Fernando Trueba, oltre a essere apprezzato in patria sia come film-maker che come scrittore, ha una curiosa prerogativa: a vederlo in foto, con tanto di occhiali dalla montatura stilosa, può ricordare alla lontana (e da lontano: suo il “cameo” in una delle scene emotivamente più cariche, ripresa peraltro in campo lungo) il grande John Lennon. Questo dettaglio dall’importanza relativa assume in realtà una valenza diversa proprio alla luce del film. Sì, perché David Trueba è sul serio un grande fan dei Beatles e ha voluto incentrare tale racconto cinematografico su una vicenda realmente accaduta, quella del sorprendente incontro tra John Lennon e un allora giovane professore spagnolo, Juan Carrión, che riuscì rocambolescamente a conversare con la star del leggendario gruppo inglese, per poi restarne amico di penna diversi anni.
Partendo da questo piccolo spunto di cronaca (e adattandolo per ovvie necessità drammaturgiche), l’autore ha saputo imbastire un sapido racconto di formazione che vede protagonisti anche due adolescenti, un ragazzo e una ragazza in fuga per differenti ragioni dalle rispettive famiglie; raccattati in strada, mentre facevano l’autostop, dal docente stesso, verranno da lui trascinati fino ad Almeria, luogo che evoca grandiosi ricordi cinefili (si pensi agli spaghetti western) e dove anche John Lennon risultava impegnato come attore sul set di un film, sicché il curioso terzetto assemblatosi on the road parteciperà della stessa, stravagante avventura ipotizzata dal bizzarro ma idealista insegnante, la cui generosità d’animo poco alla volta si farà notare e apprezzare.
Neanche a dirlo, questa singolare figura di educatore è incarnata qui da un’icona importante della cinematografia iberica, il simpaticissimo e istrionico (ne abbiamo avuto una riprova durante la conferenza stampa) Javier Cámara, che gran parte del pubblico italiano ricorderà almeno per l’indimenticabile ruolo di Benigno in uno dei film più belli di Almodóvar, Parla con lei. Tornando invece al personaggio dell’insegnante in La vita è facile ad occhi chiusi, il piglio così umano e in fondo “donchisciottesco” di Javier Cámara è un po’ la chiave per introdurre nel racconto quello spirito lieve, apparentemente spensierato, ma sottilmente critico e corrosivo, che a ridosso delle coloriture pop dell’immaginario di partenza (comprendente, ovvio, la carica liberatoria offerta dai Beatles e dalle loro canzoni) sa individuare un punto focale: l’anelito alla libertà presente nelle nuove generazioni, ancora vessate nella Spagna di allora dall’apparato repressivo franchista, dalla conseguente arretratezza culturale, dall’oscurantismo cattolico. Tenendo in filigrana tutto questo background, David Trueba si è dimostrato in grado di costruire una storia piacevolissima da seguire, tenuemente malinconica, non priva quindi di afflato sentimentale come anche di momenti assai divertenti; storia che all’occorrenza, però, si fa beffe allegramente dei derivati sociali e antropologici di quel sistema ipocrita, antiquato, liberticida, imposto alla Spagna da Franco e dai suoi sostenitori.
Stefano Coccia