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L’A.S.S.O. nella manica

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VOTO: 6.5

La rivincita delle “invisibili”

Sondaggio sul film: preferite l’acronimo A.S.S.O. (ovvero Amica Sfigata Strategicamente Oscena, come compare nella versione italiana) oppure il meno radicale ma più sottile D.U.F.F. (dal titolo originale, cioè Designated Ugly Fat Friend)? La sostanza comunque non cambia, visto che di adolescenti in ogni caso si sta parlando. E come in ogni teen-comedy che si rispetti la scuola, segnatamente il liceo, è il posto dove nasce tutto. In primo luogo l’assegnazione delle etichette – destinate a divenire veri e propri ruoli – in società, processo evitabile solo attraverso una piena acquisizione di consapevolezza verso se stessi.
Se la morale contenuta ne L’A.S.S.O. nella manica, questo il titolo italiano, risulta dunque facile e di prammatica, assai più complesso appare il tentativo di descrizione sociale di tale microcosmo messo in atto dal regista Ari Sandel assieme allo sceneggiatore John A. Cagan, ispiratisi al libro Quanto ti ho odiato scritto da Kody Keplinger. Dietro al tono ovviamente scanzonato affiorano problematiche insolite per un prodotto sanamente popolare, quale aspira ad essere un’operina che vede il personaggio principale, la bruttina di spessore Bianca Piper, prendere improvvisamente coscienza della propria dimensione di A.S.S.O., una specie di svantaggiato personaggio di supporto utilizzato dagli altri per rafforzare la loro immagine estetica vincente. La vecchia storia, insomma, dei belli e dei brutti, dei ricchi e dei poveri anche d’ingegno, del mondo diviso in due categorie. La domanda da porsi in fondo resta sempre quella: la globalizzazione del secolo 2.0 sta accentuando certi processi secondo cui l’apparire risulta molto più importante dell’essere?  Arriviamo così al punto: Bianca Piper – interpretata dalla bravissima Mae Whitman, perfettamente in parte – quando si accorge di correre il rischio di rimanere imprigionata in uno stereotipo che non le piace affatto, reagisce. E cambia, come tradizione vuole nei migliori racconti di formazione. Ecco, L’A.S.S.O. nella manica, al netto di tutte le possibili e numerose strizzatine d’occhio al pubblico di riferimento, è in seconda istanza un racconto di ribellione nei confronti di una società – il piccolo universo scolastico è giustamente visto come anticamera di qualcosa di ben più grande – alla quale fa molto comodo una struttura a compartimenti stagni, ben più facilmente gestibile e controllabile. Il senso critico del film è, insomma, ben sviluppato, mai del tutto soffocato dalla retorica di un genere che deve, per forza di cose, vedere trionfare amore e lieto fine dopo peripezie assortite. Al di là delle prevedibilità inserite quasi di default c’è da essere dunque ben lieti di “accontentarsi”, visti i tempi grami, di una regia spigliata ben supportata da un cast all’altezza, nonché di una sceneggiatura punteggiata da momenti godibili capaci di porre sul tavolo, ridendo e scherzando, questioni di non trascurabile serietà. Esemplare ed irresistibile, quando Bianca prende coscienza del suo effettivo ruolo e di conseguenza si distacca dalle amiche “cool”, il dialogo che le vede togliersi amicizie e gradimenti dai vari social network, quasi come se le tre ragazze non si trovassero faccia a faccia bensì nell’ambito di una qualsiasi virtualità da personal computer, tablet, smartphone o altri ammennicoli tecnologici. Davvero un momento di cinema meritevole di una qualche riflessione…
C’è insomma da augurarsi che L’A.S.S.O. nella manica costituisca una visione non distratta per gli adolescenti ai quali è, giocoforza, riservato il film. Oltre i canonici cento minuti di intrattenimento più o meno compiuto, sotto la superficie è possibile trovare qualcosa per cui valga la pena scavare. Se la sentiranno di faticare un po’ i nostri baldi ragazzi?

Daniele De Angelis

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