Omaggio a Gianni Serra
Proprio ieri, 14 dicembre, sarebbe stato il compleanno di Gianni Serra. Sarebbe, perché purtroppo l’anziano regista è morto il 3 settembre scorso, da quel che si sa per le conseguenze di un drammatico, sfortunato incidente domestico occorsogli la notte del 31 agosto. Pochi ne hanno parlato o hanno ricordato il suo cinema, così libero, autarchico, in quelle meste giornate. E ciò la dice lunga su una cultura cinematografica qui in Italia sempre più asfittica, omologata, con la memoria corta specie se si è sempre stati fuori da un certo “mainstream”…
Indubbiamente questo infausto 2020 si è portato via parecchie icone immortali del cinema, della letteratura, dello sport, della musica. Giustissimo celebrarle. Ma è anche emblematico che telegiornali, quotidiani e persino riviste specializzate, i cui servizi si sottraggono così di rado, fatto in sé e per sé inquietante, all’opprimente mantra del COVID19, abbiano dedicato uno spazio quasi nullo alla scomparsa di cineasti come Gianni Serra o Jiří Menzel, che pure un segno tangibile nella Storia del Cinema lo hanno lasciato. Nel caso del buon Gianni Serra, che pure in vita si è spesso trovato ad operare coraggiosamente ai margini, speriamo da un lato che il tempo sia galantuomo, dall’altro che la possibilità di trovare alcuni suo lavori sul web sia il presupposto di una progressiva riscoperta. Ad un livello squisitamente critico, ma anche di interesse da parte delle nuove generazioni, che si potrebbero così rispecchiare nelle esistenze tumultuose e irregolari dei propri coetanei di qualche decennio fa. Pensiamo ad esempio a La ragazza di Via Millelire (1980), forse il film di Gianni che all’epoca fece maggior scalpore, caricato per intero su Youtube, tramite l’aggancio a un estemporaneo passaggio televisivo sulla RAI introdotto per l’occasione da Tullio Kezich. Il grande critico cinematografico lì affermava, tra l’altro: “Quando fu presentato alla Mostra di Venezia dell’80 e anche quando uscì fugacemente nelle sale, parecchio tempo dopo, La ragazza di Via Millelire di Gianni Serra suscitò discussioni e polemiche. Certo, questo squarcio di vita estratto dalla realtà sociale della Torino degli emigrati – Via Domenico Millelire è una delle strade simbolo di Mirafiori Sud – nel ricordo fa sembrare Rocco e i suoi fratelli un cartone animato.”
Ebbene, a distanza di tanti anni la pellicola non ha perso praticamente nulla della sua carica dirompente. Un’istantanea di quegli anni, sì, dove però l’approccio quasi “pasoliniano” all’esistenza borderline dei giovani in tali periferie, nelle quali toccava farsi largo a spintoni tra istituzioni più o meno imbelli e prevaricazioni continue, sa coniugare un’empatica e acuta analisi sociologica con la ruvidissima efficacia del racconto.
Rattrista che un film del genere, anche per via di certi contenuti indubbiamente scomodi e persino scabrosi, sia stato riproposto così raramente, sui nostri schermi. Ed è perciò con legittimo orgoglio che il sottoscritto, facente parte all’epoca dell’appassionato gruppo di “Cinemasessanta”, può farsi testimone di quando la rivista dedicò uno speciale a La ragazza di Via Millelire, ed insieme alla Biblioteca del Cinema “Umberto Barbaro” organizzò poi un evento al Palazzo delle Esposizioni di Roma, riproponendo il film, presentato in tale circostanza da Carlo Lizzani ed Aurelio Grimaldi. “In un film che gela l’anima Serra non va in cerca del pittoresco sottoproletario, non rassicura, non si arrende al pianto, al lamento, alla pietà“: Il compianto direttore della nostra storica rivista di cinema, Mino Argentieri, così si era espresso su un’altra importante testata, “Rinascita”.
Ci vorrebbero forse altre “Cinemasessanta” (e non se ne vedono all’orizzonte, purtroppo), spazi adeguati ed una generazione cinefila meno effimera, modaiola, distratta, per concepire siffatte operazioni. A quelli che ancora manifestano buona volontà, consigliamo di recuperare il film grazie alle possibilità offerte oggi dalla rete. Si caleranno così in una realtà per molti versi soffocante, (auto)distruttiva, ma pervasa anche di un insopprimibile vitalismo, tra i “Dio fa” rivolti beffardamente al cielo, l’alternarsi costante di soprusi e velleitarie richieste d’amore, col giovane corpo ribelle dell’indimenticabile protagonista a farsi esso stesso soffocato grido di rivolta.
Stefano Coccia