I gloriosi anni ottanta
A soli pochi mesi dall’uscita del suo penultimo lungometraggio – Se mi vuoi bene – il regista Fausto Brizzi ha presentato a pubblico e critica la sua ultima fatica: La mia banda suona il pop. Un lavoro, il presente, che punta tutto sul concetto di “revival”, avvalendosi anche di un nutrito cast di glorie del cinema italiano comprendente Diego Abatantuono, Christian De Sica, Angela Finocchiaro, Paolo Rossi e Massimo Ghini.
Tutti questi grandi nomi, dunque, sono qui riuniti per dare vita a un bizzarro gruppo musicale – i Popcorn – un tempo famoso negli anni Ottanta, che viene richiamato a esibirsi in occasione della festa di compleanno di un milionario russo. Sarà compito, dunque, del loro manager (impersonato, appunto, proprio da Abatantuono) far sì che i quattro, ognuno dei quali sembra inizialmente avere altri obiettivi per il futuro, tornino a essere quelli che erano, salvo poi scoprire che la presente operazione fa parte di un piano (architettato dall’addetto alla sicurezza del magnate) atto a derubare il milionario stesso. Che fare, dunque, per far sì che le cose inizino finalmente a girare a favore dello sgangherato quartetto?
Con un sapore che rimanda in tutto e per tutto ai gloriosi anni Ottanta, La mia banda suona il pop punta tutto su luci, colori e musiche orecchiabili (impossibile non menzionare, a tal proposito, il singolo “Semplicemente complicata”, composto per l’occasione dal maestro Bruno Zambrini), oltre che su gag e scene d’azione che si susseguono una dopo l’altra.
E la presente operazione – soprattutto se letta in chiave post-sanremese, con tanto di reunion di gruppi storici come i Ricchi e Poveri – in parte funziona. Funziona su tutto proprio il sopracitato quartetto, con i suoi componenti che, malgrado il passare degli anni, non hanno (quasi) perso la tempra di un tempo e, tra una disavventura e l’altra, sono sempre pronti – volenti o nolenti – a rimettersi in gioco. Funzionano anche le musiche, nel presente La mia banda suona il pop. Così come funzionano altrettanti rimandi al glorioso decennio, con tanto di DeLorean “originale” presente nel salotto del milionario russo.
Eppure, nonostante tutto, se guardiamo l’intera operazione dal punto di vista della trama stessa e se consideriamo le numerose gag presenti, non possiamo non notare come La mia banda suona il pop si classifichi come un prodotto perfettamente nella media, se si pensa a tutte le numerose commedie che ogni anno appaiono copiose sui nostri grandi schermi. Ed è proprio questa formula a limitare fortemente il suddetto prodotto. Perché, di fatto, al di là della cornice in sé, al di là della forma che il regista ha dato all’intero lavoro, quest’ultimo, alla fine dei giochi, altro non fa che rivelarsi come un calderone di elementi già più e più volte visti. Peccato. Soprattutto perché al suo interno vi sono non pochi momenti gustosi, riguardanti, appunto, proprio i momenti in cui i quattro tornano a esibirsi, con tanto di montaggio alternato che ci fa vedere gli stessi da “giovani”, nei momenti più fortunati della loro carriera.
Ma, di fatto, La mia banda suona il pop non fa che rivelare una tra le più grandi pecche del cinema nostrano contemporaneo: quella di voler ripercorrere continuamente le stesse strade, lasciando ogni qualsivoglia tentativo di creare qualcosa di nuovo soltanto a metà.
Marina Pavido