Torna sugli schermi il capolavoro di Jack London
Torna al cinema uno dei più famosi racconti del XX° secolo, pubblicato da Jack London nel 1903. Una straordinaria storia di crescita, coraggio e riscoperta del senso e del sapore della vita. Un lungo cammino alla ricerca pervicace della propria libertà di scelta che, per il cane Buck, comincia in una sonnolenta e austera villa californiana.
E’ un animale grande e robusto e, di lì a poco, verrà rapito e rivenduto nel Klondike, nel Canada Nord-Occidentale. La sua stazza, infatti, è esattamente quello che serve per trainare le slitte dei numerosi coloni e cercatori di pepite che, scatenatasi la famosa corsa all’oro, stanno accorrendo a migliaia nella regione. Solo i cani così possenti possono essere utilizzati per questo incarico, trattandosi di un’esistenza durissima ed estremamente faticosa. Ovviamente, abituato alla sua quotidianità viziata e fatta di comodità, per Buck adattarsi è difficile e, fin da subito, è costretto ad assaggiare il bastone della persona che più volte lo picchia per insegnargli la nuova ferrea disciplina. E non ci sono solo gli uomini da affrontare. Durante il suo primo incarico, al traino di una slitta postale, impara a sopravvivere al clima ostile e a sopportare la prepotenza del capobranco della muta, l’aggressivo husky di nome Spitz. I due postini (Omar Sy, ormai sempre più presente nelle produzioni hollywoodiane, e Cara Gee, già vista nella serie The Expanse) cominciano ad apprezzare l’incredibile resilienza dell’animale inasprendo così l’invidioso Spitz. Dopo un inevitabile scontro fra i due, quando la tratta postale viene cancellata, e la muta venduta a malincuore dal postino, Buck è ormai il leader incontrastato. Ma solo in seguito potrà finalmente fare la conoscenza di un autentico, amorevole padrone, il cercatore d’oro John Thornton (Harrison Ford). I due diventano inseparabili. Buck, ormai solo, è in cerca di una persona che possa trattarlo senza crudeltà e che gli risparmi la slitta, l’uomo è invece alla ricerca, anche se ancora non lo sa, di un animo che possa aiutarlo a colmare l’enorme dolore per la perdita del figlio. E’ qui che un legame unico si viene a creare, diventando il motore del viaggio che li condurrà a riscoprire la ricchezza della vita e il proprio vero io.
Nel sangue di Buck, però, le difficoltà di questi anni hanno tirato fuori uno spirito antico e, pian piano, è l’ancestrale istinto del lupo che comincia a far sentire nel coraggioso cane un irresistibile richiamo per la foresta, per l’ambiente selvaggio e senza uomini in cui realmente può forgiare un suo regno.
L’americano Chris Sanders, già regista e scrittore di famosi film d’animazione come Lilo & Stitch e Dragon Trainer, è con Il richiamo della foresta alla prima esperienza con un lungometraggio in cui a recitare sono veri attori. Si tratta certamente di uno sforzo notevole dal punto di vista dei costumi e delle scenografie, della ricostruzione dei villaggi di frontiera, con le folle sudice e speranzose, le baracche cadenti ma accoglienti, rustico scudo contro il gelo del profondo nord canadese. E’ un affresco credibile e coinvolgente, dettagliatissimo nel ricordarci l’estrema durezza di quel genere di vita e società. Ma la vera sorpresa che il film ci riserva è la resa dei compagni a quattro zampe, fulcro dell’intera vicenda. Lasciati da parte i “cani-attori” del passato, questa volta a recitare sono animali totalmente realizzati in computer grafica, grazie ad un lavoro certosino. Sul set, infatti, l’artista Terry Notary, già membro del “Cirque du Soleil”, ha praticamente replicato ogni mossa di Buck, consentendo agli altri attori di avere un riferimento sulla scena, qualcuno con cui poter interagire e migliorare le parti recitative più difficili. Una lunga serie di cani sono poi stati scansionati al computer, tra cui un incrocio tra un San Bernardo e un cane da pastore scozzese, (esattamente come Buck viene descritto nel libro), e infine utilizzati come modelli con cui lavorare sulle espressioni facciali. Il risultato è stupefacente: ampie parti della pellicola, pur senza dialoghi, sono comunque raccontate dai volti e dagli sguardi degli animali, creando una notevole empatia con gli spettatori e restituendoci alla perfezione il loro stato d’animo. E’ dunque un’avventura assolutamente spettacolare, tecnicamente innovativa e spesso emozionante.
C’è da fare una considerazione importante, parlando di produzione. Il film è targato “Twentieth Century Studios”, il nuovo nome che Disney ha imposto alla storica casa cinematografica Fox recentemente acquistata. Questo significa che pur essendoci lo storico numero “20” dorato sullo schermo, la mano dell’azienda di Topolino non può non farsi sentire e, a tratti, l’idea probabilmente di puntare su un pubblico preferibilmente giovane finisce per edulcorare alcuni degli aspetti più complessi e più drammatici del racconto. Questa storia in cui un animo buono, senza smettere di essere tale, riesce a trovare un altro sé più forte, guerriero, capace di superare le avversità, di lottare per la propria sopravvivenza, può risultare meno impattante quando gli elementi più crudi sono rimossi. Si parla poco e in modo cauto della morte, la lotte sono prive di ferite evidenti, lo scontro con i reali lupi incontrati nella foresta è inesistente. I bambini possono essere meno turbati in sala, ma il senso della strenua battaglia di Buck per la sua libertà può perdersi un po’ tra le lunghe rotte ghiacciate dello Yucon.
Massimo Brigandì