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La llorona

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VOTO: 7.5

La memoria di un popolo seviziato

Con il precedente lungometraggio Ixcaul (Vulcano, 2015), il regista Jayro Bustamante aveva testimoniato, tramite le vicende quotidiane di una famiglia, la complicata vita degli indigeni cachiquel nelle impervie terre del Guatemala. La pellicola, benché di fiction, mostrava con toni quasi documentaristici la difficile situazione di questa piccola etnia, d’origine Maya, ancora legata alle proprie radici culturali che sistematicamente veniva “stuprata” dalle abiette dinastie padronali dei ladinos, pronipoti di quei conquistadores spagnoli che avevano messo in atto depredazioni e mattanze nel Centro e nel Sud America nei secoli passati (azioni che fecero estinguere gruppi etnici e razze animali). Con La llorona, visto al festival #Cineuropa33, il regista guatemalteco Bustamante testimonia nuovamente la tragica storia dei cachiquel e degli abusi subiti, ma questa volta attraverso una disamina della vita agiata di una ricca famiglia, il cui padre, ex Generale, fu uno di quei prevaricatori che commise abominevoli azioni contro quell’inerme gruppo etnico.

La llorona è ambientato nel presente, ed è basato su quanto accadde in Guatemala tra il 1960 e il 1996, cioè la lunghissima fase storica in cui avvenne la sanguinosa guerra civile. Questo periodo viene anche denominato, dopo gli accordi di pace del 1996, “conflicto armado interno”. In questo interminabile lasso di tempo, una delle azioni più virulente attuate dai vari regimi dittatoriali fu quello di eseguire un cruento genocidio etnico, affiancato anche da orridi stupri da parte dei militari (di basso e alto grado). Sceneggiato da Bustamante stesso, la pellicola è un sentito atto di volontà per rinforzare la memoria e non far dimenticare quanto accaduto, come illustra magnificamente la scena del processo, in cui una vera donna cachiquel rammenta le violenze subite dal suo popolo. E, soprattutto, atto memorialistico, traslato in fiction, per raccontare alle nuove generazioni quegli atroci fatti che si perpetuarono in Guatemala. Per narrare ciò, l’autore ha optato per una storia che avesse delle ascendenze di genere horror di stampo soprannaturale. Il personaggio della giovane indigena Alma (nome altamente significativo, significando “anima”) è l’elemento che entra nella villa dell’ex Generale e spacca definitivamente l’ipocrita equilibrio su cui si reggeva la famiglia, cioè l’onorabilità del censo. Se la figlia e la nipote, in una certa misura, sono inconsapevoli di quanto fece l’ex Generale durante la dittatura, la moglie era ben informata di quello che fece il marito (anche degli abusi sessuali per appagare i suoi appetiti), ma ha sempre preferito trincerarsi dietro la reputazione che il consorte aveva acquisito. Questo vecchio Generale Enrique (Julio Diaz) è un evidente alter ego di Efraín Ríos Montt (1926-2018), il Generale e Presidente del Guatemala che si era macchiato di genocidio e crimini contro l’umanità. Alma, interpretata da María Mercedes Coroy (già protagonista di Vulcano), è il tangibile fantasma che rappresenta la memoria vendicativa del suo popolo martoriato, e Bustamante, restando in un contesto reale e concreto (la casa), la fa entrare in scena sempre come se fosse un’entità soprannaturale. Questa tensione è amplificata anche perché il regista ha preferito svolgere gran parte della storia nella villa, che sebbene sia grande, diviene soffocante e quasi immateriale, essendo il concreto presente fuori da questo fortino, dove il popolo guatemalteco vuole la testa dell’assassino. Con La llorona Jayro Bustamante ha confermato di essere un ottimo autore, capace di costruire potenti opere non solo in ambito narrativo, ma anche sul piano visuale, come ad esempio gli zoom all’indietro, che lentamente scoprono la scena creando turbamento. L’unica pecca, rispetto a Vulcano, è nell’eccedere nel costruire il dramma interiore della moglie, con incubi troppo “cinematografici”.

Roberto Baldassarre

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