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La legge della notte

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VOTO: 5.5

E Ben Affleck prese il fucile…

Pit stop per il Ben Affleck regista, giunto all’opera quarta. Dopo tre prove convincenti, sia pur con differenti sfumature, questo La legge della notte (Live by Night il titolo originale) inciampa in un palese eccesso di ambizione, aggravato da un accumulo sin troppo evidente di stereotipi riguardo al genere affrontato. Cioè il gangster-movie in costume, messo in scena spostando le lancette dell’ambientazione temporale nella prima metà del secolo scorso. Accompagnato dalla voice over intermittente (un po’ troppo, a dire il vero) del protagonista Joe Coughlin – affascinante non certo per l’interpretazione addirittura più monolitica del solito da parte dello stesso Affleck, quanto per la doppia anima del personaggio, provvisto da una parvenza di etica in un sottobosco spietato dove non si fanno prigionieri – La legge della notte vorrebbe essere il racconto di un’epopea gangsteristica personale, narrata in una sorta di soggettiva tormentata da dubbi interiori e amori tracimanti, riassumendo tutto ciò che si è visto in materia dalla nascita della Settima Arte.
Primo errore: Ben Affleck sceneggiatore unico del lungometraggio, da un romanzo di Dennis Lehane. Prima volta che accade e le pecche saltano subito agli occhi. Perché lo script soffre di una mancanza assoluta di modulazione, alternando in modo meccanico picchi di azione e pause introspettive ma tralasciando di infondere quel pathos necessario sia all’epica del racconto che a suscitare empatia negli spettatori. Per tacere di personaggi di contorno che vanno e vengono con eccessiva disinvoltura nella storia, a partire dalla sin troppo breve e poco definita apparizione di Brendan Gleeson nel ruolo del padre (capitano di polizia) di Joe Coughlin. Una possibile vertigine narrativa – quella del conflitto edipico di dimensione shakespeariana – che viene malamente gettata alle ortiche da un regista il quale, in tutta evidenza, non possiede la magia del tocco intimista di un Clint Eastwood (ricordate la sua trasposizione, sempre da Lehane, dello straordinario Mystic River nel 2003?), né tantomeno la febbrile modernità romantica di un Michael Mann – il cui fantasma aleggia per l’intera durata de La legge della notte – perfettamente esplicitata, nell’ambito del genere, in Nemico Pubblico – Public Enemies (2009).
La seconda pecca del quarto lungometraggio di Affleck è quella di aver messo decisamente troppa carne al fuoco. Si potrà obiettare che è sempre preferibile sbagliare per generosità piuttosto che per avarizia ma in questo specifico caso viene a crearsi un fastidioso effetto di saturazione. Dopo infatti una prima parte ambientata a Boston nella quale La legge della notte si affida senza soverchi problemi alle regole non scritte del genere, con il passaggio in Florida si affrontano senza controllo né approfondimento tematiche pregnanti come la presenza del Ku Klux Klan e l’integralismo religioso, quest’ultimo osservato attraverso la figura di una ragazza traviata, Loretta Figgis (Elle Fanning), che avrebbe meritato ben altro sviluppo. Il risultato finale, insomma, tra canonici regolamenti di conti, tradimenti, sparatorie, bellezze femminili a fungere da orpelli o poco più (Sienna Miller e Zoe Saldana, nella fattispecie) e via discorrendo appare un po’ come un ingessato presepe del crimine composto da rigide statuine – ogni riferimento al Ben Affleck attore è puramente intenzionale… – dalla sfarzosa confezione ma dai dettagli assai discutibili. Del tutto assente, se non in brevi frangenti e segnatamente riferiti al personaggio interpretato dall’altrove ottimo Chris Cooper nella parte del padre di Loretta, quel doloroso rimpianto derivante da un passato traumatico così tipico dei testi di Lehane e gestito assai meglio da Affleck nell’opera d’esordio Gone Baby Gone (2007), anch’essa tratta da un romanzo dello scrittore originario del Massachusetts.
La legge della notte resta dunque un film calligrafico (davvero ragguardevole la fotografia del veterano Robert Richardson), ulteriormente appesantito dalla beatificazione finale del personaggio principale. Soddisferà magari gli amanti del genere ad un primissimo livello di fruizione, deludendo invece tutti coloro che al Cinema chiedono qualcosa di più di belle e accurate immagini in movimento. Attendiamo di sapere, senza troppa ansia, cosa riserverà il futuro al Ben Affleck dietro la macchina da presa. La prima risposta, dopo gli allori mietuti con Argo (2012), non è stata esattamente positiva.

Daniele De Angelis

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