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La figlia del bosco

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VOTO: 7

Ho paura nel bosco di sera

Non mi portare nel bosco di sera, ho paura nel bosco di sera”, cantava un tempo Rosanna Fratello. Del resto anche per l’horror il bosco rappresenta un topos intramontabile e assai radicato. Sam Raimi docet. Si potrebbero però scomodare anche il seminale The Blair Witch Project o il ben più succulento Quella casa nel bosco di Drew Goddard. Ma se tale ambiente di sera può fare ancora più spavento, una certa inquietudine la mette anche quando i malcapitati si ritrovano ad attraversarlo in pieno giorno, alla luce del sole…
Un certo spaesamento temporale caratterizza, anzi, il film che da un paio di settimane sta spopolando su Prime Video, tra l’altro orgoglioso esempio di cinema indipendente nostrano: La figlia del bosco, lungometraggio d’esordio di Mattia Riccio prodotto da Vinians Production e distribuito in Italia da The Film Club (società del gruppo Minerva). Questo giovane cineasta i boschi giusti li ha trovati appoggiandosi al Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini, muovendosi poi tra il Terminillo e il Monte Livata, mete molto care agli abitanti di Roma e del Lazio. Proprio l’elemento antropico viene però presentato nel film in forma piuttosto critica, allorché la coppia protagonista è dedita alla caccia e difatti seppur in momenti diversi viene presa di mira (al pari, comunque, stranamente, di qualche innocente boy scout) da una misteriosa entità femminile che si dice presieda e difenda, da tempo immemore, quei remoti territori silvestri.

Una sorta di morale ecologista fa capolino, insomma, all’interno di un horror i cui elementi misterici posso persino ricordare altre pietre miliari del cinema di genere italiano, vedi ad esempio una pellicola divenuta leggendaria, nel bene e nel male, come Il bosco 1 di Andrea Malfori. Vallate e boscaglie della penisola poste molto più a settentrione, quelle di Marfori, ma sempre custodite da spiriti collerici, con cui è consigliabile non entrare mai in contatto.
Ne La figlia del bosco il primo a commettere l’errore di fare il suo ingresso, con modi non molto rispettosi, nell’ambiente naturale protetto da quell’arcana creatura evocata anche dal titolo, è il povero Bruno (interpretato da Davide Lo Coco), il quale durante una battuta di caccia perde l’orientamento… per non ritrovarlo mai più.
Si ritroverà invece ospite assieme a un’altra delle ragazze in gita scomparse, molto prima dell’arrivo della propria compagna, in una casa apparentemente abbandonata dove cominciano ad accadere fatti misteriosi, inspiegabili; ed è da tali presenze che prende forma poco alla volta una punizione terribile, per Bruno e per chiunque malauguratamente si sia perso in quei luoghi.

Reso ancora più angosciante dalla così cupa colonna sonora, ombroso, selvatico, atmosferico, La figlia del bosco gioca con il soprannaturale senza indulgere troppo nelle scene realmente violente, orrorifiche, cui antepone saggiamente una diversa strategia della tensione, fatta di piccole terrificanti epifanie (vedi le raccapriccianti bambole disseminate in giro) e di un senso di minaccia costante. Anche i riusciti momenti onirici contribuiscono all’effetto. Non mancano, certo, i difetti più o meno latenti di molto cinema indipendente, da alcune interpretazioni un po’ troppo “legnose” ai dialoghi, spesso esageratamente costruiti e stentorei. Ma nel complesso l’operazione è stata ben concepita e una qualche inquietudine la lascia addosso allo spettatore, anche a visione conclusa.

Stefano Coccia

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