Human Dolls
Con Incident in a Ghostland – lungometraggio che in Italia sarà nelle sale con il titolo La casa delle bambole – Pascal Laugier compie un ulteriore, forse decisivo, passo verso il consolidamento di una propria poetica. Quella dell’esplorazione dei territori oscuri della fiaba, tematica già parzialmente sviscerata nel precedente The Tall Man (nella titolazione italiana I bambini di Cold Rock) ma qui innalzata a vette decisamente insolite. E, proprio per tale motivo, ancora più disturbanti.
Dopo questa premessa appare chiaro come nell’opera quarta di Laugier il dettaglio della trama rivesta un’importanza secondaria, muovendosi la narrazione nell’ambito dell’ampio confine tra realtà e immaginazione. Due cenni solo per rendere maggiormente chiaro l’insieme del discorso: una madre, Pauline, con due figlie adolescenti, Beth e Vera, eredita da una vecchia zia passata a miglior vita una magione molto fuori mano, dove la famiglia si trasferisce. Il male però incombe su di loro sin da subito. Stop. Altro non si può rivelare, perché La casa delle bambole – la parente defunta ne collezionava in quantità industriale – è un’opera che va vissuta in totale immersione e non semplicemente vista. Come sempre, nel cinema di Laugier, sono i molteplici volti femminili ad essere posizionati al centro del proscenio, nonché superbamente ritratti e approfonditi. La donna come madre eticamente portata al sacrificio. La donna che si affaccia timidamente alla vita. La donna che lotta con disperazione per la propria sopravvivenza. La donna appagata dalla sua realizzazione professionale. Tutti elementi distribuiti sia nei pochi personaggi raccontati che conviventi in uno solo, segnatamente quello di Beth. Dal cui punto di vista osserviamo buona parte del lungometraggio. Suo è infatti il sangue che perde a causa del primo ciclo mestruale ad inizio film, simbolico preludio a quello che scorrerà in seguito, sebbene in misura meno esplicita e violenta rispetto a Martyrs (2008), cioè l’opera ad oggi più conosciuta del regista transalpino.
Poi c’è, ovviamente, l’orrore che si abbatte sulle tre donne, non a caso prive di un riferimento maschile che comunque è ben presente all’interno di ognuna di esse. La Strega e l’Orco sono figure archetipiche che non abbisognano di superflue spiegazioni sulla loro provenienza. Esistono perché le paure recondite di ogni individuo dotato di fantasia vogliono così. Quasi ne pretendono l’esistenza. Soprattutto nel fermento di un’età infantile/adolescenziale. Così anche il Male viene adeguato dal Laugier sceneggiatore al contesto narrato: l’Orco “gioca” con le bambole in senso perverso, mentre la Strega trasforma Beth e Vera in feticci-giocattolo pronti all’uso. E le sequenze che ne (con)seguono riescono ad essere davvero perturbanti, al pari di quei grandi horror (tanto per fare un titolo The Devil Doll di Tod Browning, datato 1936) che hanno ricamato di fino, in materia, nel passato anche remoto della Settima Arte.
Ogni virtuosismo di macchina – e si sa cosa Laugier è capace di fare – è qui messo al servizio di un’opera che è un, tanto brutale quanto veritiero, coming of age. Una fase di passaggio verso l’età adulta che mette in primo piano il trauma che esso comporta. Il richiamo a H.P. Lovecraft, apertamente evocato e persino mentalmente materializzato dal personaggio di Beth, aspirante scrittrice di romanzi orrorifici, non stona affatto per le dimensioni altre, paurose, che egli richiama. Anche se nell’occasione Laugier mette in scena, in una cornice barocca e surrealista, timori quantomai reali, capaci di creare dolore vero a chiunque riesca a guardarli senza farsi condizionare, in un senso o nell’altro, dal genere di appartenenza del film.
Incident in a Ghostland è presentato al Torino Film Festival 2018 nella sempre lungimirante sezione After Hours e farà la sua uscita in sala il 6 Dicembre grazie a Koch Media attraverso il meritorio marchio specializzato nel genere Midnight Factory. Se si è dunque alla ricerca di un horror adulto in grado si scavare a fondo nell’inconscio di chi lo guarda, anche a costo di farsi parecchio male, non perdetelo per nessun motivo.
Daniele De Angelis