Gioco, partita, incontro
Sembrerebbe che cinematograficamente parlando questo sia l’anno del tennis. A novembre la Lucky Red porterà anche nelle sale italiane Borg McEnroe, ossia il film diretto da Janus Metz Pedersen sulla rivalità tra il campione svedese e quello statunitense, con tutta l’attenzione orientata verso la storica finale di Wimbledon del 1980, la prima in cui si sfidarono. Anche per quanto concerne La battaglia dei sessi l’apice del racconto è costituito da un confronto tennistico che fece epoca. Ma in una cornice sensibilmente diversa…
Il film diretto da Jonathan Dayton e Valerie Faris rappresenta infatti l’adattamento cinematografico della celebre partita di tennis, nota appunto come “la battaglia dei sessi”, avvenuta il 20 settembre 1973 tra Bobby Riggs e Billie Jean King. In questo caso non solo un evento sportivo. E i due registi sono stati decisamente abili a trovare un possibile equilibrio tra i diversi significati che tale episodio potè vantare: acceso confronto tennistico, circo mediatico, rivendicazione femminista contrapposta a conservatorismo maschile. Senza calcare eccessivamente la mano su nessuno di questi elementi, poi, ma rimettendoli in gioco tutti con un brio narrativo che riesce anche a giustificare la durata, non trascurabile, di circa due ore.
Limitiamoci qui alle coordinate essenziali della vicenda. Bobby Riggs, grande tennista americano che a cavallo tra la fine degli anni ‘30 e l’inizio degli anni ’40 aveva trionfato sia agli US Open che a Wimbledon, raggiunta la ragguardevole età di 55 anni volle tornare in scena per divertirsi un po’ (e guadagnare altri soldi), dimostrando al contempo lo strapotere del tennis maschile, rispetto a quello praticato dal gentil sesso. Nacquero così le sue sfide a due delle tenniste più forti dell’epoca (e di tutti i tempi, volendo): prima la religiosissima e conservatrice australiana Margaret Smith Court, poi la statunitense Billie Jean King, rivelatasi col tempo una paladina dell’emancipazione femminile, sia a livello di vita privata che nella lotta per garantire uguali diritti (e un adeguato riconoscimento economico) alle giocatrici di tennis, impegno da cui nacque peraltro la celebre Women’s Tennis Association.
Se quello dell’istrionico Bobby Riggs con Margaret Smith Court fu un incontro a senso unico, col vecchio campione in grado di dominare entrambi i set, la vera e propria “battaglia dei sessi” che coinvolse invece Billie Jean King ebbe tutt’altro esito…
Oltre all’apprezzabile cura con cui sono state filmate (o riproposte) le scene di gioco, La battaglia dei sessi mette in campo (da tennis) una sceneggiatura calibratissima, che sa evidenziare con tocchi di grande sensibilità l’aspetto interiore dei personaggi, regalando anche scambi di battute pungenti ed ironici. Lodevole è anche il fatto che il taglio comunque “progressista” del racconto non diventi troppo invadente, ideologico, manicheo: le ragioni di Billie Jean King e della nascente WTA sono evidenziate col giusto grado di empatia, molto correttamente, ma il carattere diverso e dichiaratamente sbruffone di Bobby Riggs non viene ridicolizzato, è anzi oggetto di un’analisi altrettanto profonda e sfaccettata. Differentemente da quanto sullo schermo si nota, ad esempio, per quel dirigente maschilista della federazione tennistica americana la cui mancanza di rispetto verso le giocatrici, provenendo da una posizione di potere, assume toni più subdoli e quindi da biasimare. Alla felice riuscita del film concorrono inoltre, più che una regia attenta ma non incline ai colpi di genio (unica menzione speciale, a riguardo: la bella inquadratura di Riggs sulle scale mobili, che scompare lentamente dalla vista del figlio), le ottime prove d’attore: su tutti ovviamente la Billie Jean King di Emma Stone, perfettamente in grado di metabolizzare le motivazioni del personaggio, ed è il mix irresistibile di combattività, cialtronaggine e goliardia, con cui uno Steve Carell come sempre impeccabile ha saputo mettere in scena l’azzardo di Bobby Riggs. Entrambi credibili, piccola nota a margine, anche sotto il profilo del look.
Stefano Coccia