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Kong: Skull Island

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VOTO: 7

Nell’isola del Re

Basta sommare prologo e titoli di testa di Kong: Skull Island per comprendere appieno gli intenti di coloro che hanno riportato a nuova vita il gigantesco gorilla protagonista del classicissimo di Merian C. Cooper ed Ernest Schoedsack datato 1933 nonché di vari altri epigoni alternatisi fino ai nostri giorni. Nell’ottimo incipit – ambientato nel 1944 e permeato di cinefilia a ricordare indirettamente il grandissimo Duello nel Pacifico di John Boorman (1968), con un aviere americano ed uno giapponese paracadutatisi nella misteriosa isola per poi fare conoscenza, dopo qualche schermaglia reciproca, del maestoso primate – la figura di Kong si presenta sin da subito differente dal solito, non solo per merito della computer graphic; quindi le immagini che scorrono sui credits, incentrate su fatti e personaggi storici intercorsi da quel periodo fino ai primi anni settanta concedono allo spettatore l’esatta cognizione di dove il film voglia andare a parare: la sete di futuro in contrasto con l’atavicità di un passato che si fa leggenda. E quella leggenda si chiama Kong.
Proprio il lavoro fatto sulla figura centrale dell’ipertrofico gorilla, costituisce l’unica novità di rilievo di un film che, per il resto, ricalca abbastanza pedissequamente schemi già sperimentati in abbondanza. In Kong: Skull Island la magnificenza della “Bestia” (molto relativamente tale, ma seguiamo per un attimo l’iconografia tradizionale…) oscura tutto il resto. Cioè il ricalco fedele di un impianto narrativo abbastanza privo di novità, con la solita spedizione scientifica finanziata per la ricerca di chissà cosa, la consueta compagine militare – guidata da Samuel L. Jackson – guerrafondaia e perciò ottusa, l’avventuriero in stile Indiana Jones (interpretato da Tom Hiddleston) ingaggiato come guida; ed infine la giovane e bella studiosa (la Brie Larson premio Oscar per Room) incaricata di catalizzare le attenzioni maschili del nostro scimmione, ridotte però al minimo sindacale rispetto ai lungometraggi precedenti. Tutti dettagli. Al centro della narrazione c’è Kong e la sua metamorfosi interiore da animale mosso da istinti (anche sessuali, mitigati da pseudo-romanticismo in omaggio al cinema di genere e magari alla censura) ad essere superiore pienamente raziocinante, sulla scia del suo omologo nipponico familiarmente conosciuto con il nome di Godzilla. Operazione, quest’ultima, tanto riuscita quanto scoperta, dato che già nella locandina viene messo in evidenza il grado di parentela tra la produzione di Kong: Skull Island e il recente Godzilla di Gareth Edwards (2014), opere che peraltro vedono in comune anche uno degli sceneggiatori, Max Borenstein. E anche qui l’Eroe – doverosamente scritto con la maiuscola, data la mole – si batte in senso lato, oltre che per la salvaguardia dell’ecosistema dell’isola, pure contro quella parte (simbolica ma senz’altro cospicua) della razza umana che vede la “risorsa” bellica – il fantasma del conflitto in Vietnam appena concluso aleggia in stile convitato di pietra nel film – come unica via di sopraffazione sistematica verso il più debole. Si trattasse solo di questo restyling di assoluto rilievo sulla figura di Kong, allora il film di Jordan Vogt-Roberts (suo il piccolo cult The Kings of Summer, datato 2013. In aggiunta a molta televisione di qualità) meriterebbe solo elogi. Ovviamente è invece ben presente nel plot un lato ludico di cospicua durata, che vede protagoniste le varie creature ingigantite e minacciose che popolano l’isola impegnate a fare polpette dei malcapitati visitatori stranieri. Meno male che c’è Kong, paladino del territorio in grado di ergersi a baluardo in loro difesa…
Sintetizzando al massimo per tirare le somme: Kong: Skull Island regala allo spettatore un luna park spettacolare di primo livello, arricchito da qualche ideuccia intelligente e originale, Kong a parte. Come ad esempio il sorprendente personaggio di Hank Marlow (interpretato dal valente John C. Reilly) al quale viene in pratica dedicato un vero e proprio film nel film, soprattutto nel finale. Chi ama l’intrattenimento duro e puro ma non del tutto fine a se stesso, insomma non resterà affatto deluso. Con il consiglio di rimanere in sala anche oltre la fine dei titoli di coda, allo scopo di apprendere qualche altra imprevista verità su Kong e le altre creature di un’isola misteriosa che molto sarebbe piaciuta a tale Jules Verne. Perché al cinema, si sa, il concetto di tempo è sempre molto relativo.

Daniele De Angelis

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