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Inu-Oh

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VOTO: 9

Un concerto imperdibile, nel cuore della Storia giapponese

Sabato 21 settembre Indiecinema Film Festival riproporrà al Caffè Letterario di Roma, in qualità di evento speciale “fuori concorso”, un pregevole lungometraggio nipponico già distribuito in sala nel 2023 dalla Double Line: Inu-Oh (2021) di Masaaki Yuasa. Occasione davvero ottima, quindi, per recuperare sul grande schermo quello che a nostro avviso è il miglior film d’animazione giapponese degli ultimi anni. Ci perdoni il Maestro Hayao Miyazaki, ma, per quanto il suo cinema ci abbia sempre regalato emozioni profonde, l’ultimo parto creativo Il ragazzo e l’airone pur ribadendone lo stile e le forti, apprezzabilissime tensioni etiche, non ha saputo certo incidere sul nostro immaginario nella stessa misura.

Al contrario, Inu-Oh si configura quale soterico, provvidenziale, salvifico terremoto estetico, in grado di coniugare il mondo della Tradizione e l’opera rock, una visionarietà sfrenata e lo storytelling più accurato, istanze libertarie e umanesimo di antica data.
Estremamente stratificato a livello spazio-temporale (fino a comprendere livelli onirici e metafisici di assoluto rilievo), ispirato a un romanzo di Hideo Furukawa che si intitola “The Tale of the Heike: the Inu-Oh Chapters”, l’anime musicale di Masaaki Yuasa mette in scena capitoli remoti ma assai pregnanti della Storia giapponese con una modernità di linguaggio che lascia incantati, di stucco; laddove la classica cornice storica e in costume del Jidai-geki, rapportata per giunta a un periodo ancor meno rappresentato nel cinema e nel fumetto, va a fondersi col mondo degli spiriti e con trasognate tracce fantastico/orrorifiche.

Un piccolo approfondimento, quindi, lo meritano sia la trama che il contesto storiografico. Sullo sfondo vi è infatti l’aspro conflitto avvenuto in secoli lontani tra i clan Genji e Heike, con quest’ultimo noto anche come Taira e destinato dopo l’esito tragico della battaglia navale di Dan-no-ura a scomparire per sempre dalla lotta per il potere, nel Giappone medioevale; i superstiti di questa casata un tempo così florida verranno giustiziati o costretti alla fuga e all’anonimato; cambiamenti radicali, nell’assetto socio-politico del paese, che avranno un riflesso profondo anche nella cultura delle epoche successive, con le storie dolenti del clan Heike trasmesse oralmente da bonzi (generalmente ciechi) con l’ausilio del tradizionale liuto biwa e raccolte poi nell’Heike monogatari, romanzo epico del XIV secolo.
In Inu-Oh la Storia si mescola con la Leggenda attraverso la dolorosa vicenda del giovane Tomona, pescatore rimasto cieco in seguito al tentativo del padre di utilizzare un magico artefatto Heike (ricalcato su un’insegna imperiale andata realmente perduta durante la già menzionata Battaglia di Dan-no-ura) e diventato in seguito un talentuoso suonatore di biwa. Quando finalmente costui incontrerà un essere demoniaco, Inu-oh, dalle sembianze mostruose ma dallo spirito assai sensibile, il loro connubio artistico porterà a nuove forme espressive in grado di risvegliare le masse dal loro torpore ma anche, ahinoi, di spingere il nuovo clan al potere verso una crudele, spietata repressione. Poiché una cultura realmente libera non può essere ammessa da autocrati che mirano a recintare la versione ufficiale della Storia, impedendo metodicamente alla popolazione di accedere a un punto di vista critico o semplicemente “alternativo”.

Qui sta il senso profondo di un lungometraggio d’animazione tanto spettacolare e curato nella messa in scena, quanto maturo e adulto in una linea narrativa che pone sempre gli spunti più colti (le antiche tradizioni musicali, gli albori del teatro , le lotte feudali in Giappone) al servizio di una visione più ampia, tale da trasformare progressivamente il film in una potente opera rock che apre spazi di libertà rompendo tutti gli schemi. Complimenti quindi a Masaaki Yuasa, abile anche nell’associare all’intensità drammaturgica tutta una varietà di approcci registici (le soggettive dalla “maschera del demonio”; quel montaggio a scatti che valorizza i repentini passaggi da un’epoca a un’altra, da un ambiente al successivo) di cui beneficiano enormemente, qui, sia la Storia che il Mito, sia la certosina ricostruzione degli ambienti reali che i più arditi voli di fantasia.

Stefano Coccia

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