Cuore e anima
Si muove a pendolo lungo un confine assai sottile, Riparare i viventi della cineasta transalpina – ma ivoriana di nascita – Katell Quillévéré. Ponendo domande e cercando risposte forse impossibili da trovare, soprattutto quando si affrontano argomenti insondabili come l’essenza di una singola persona e la caducità del corpo di appartenenza. Si possono già immaginare i rilievi critici, non senza qualche ragione: Riparare i viventi, sin dal titolo, è un’opera cinematografica che ambisce alle alte vette della filosofia umanista, senza peraltro tralasciare il particolare, quel dettaglio che in determinate circostanza riesce persino a fornire una parvenza di senso all’insieme. Decisamente troppo per una regista di soli trentasette anni, con all’attivo due soli lungometraggi – gli inediti in Italia Un poison violent (2010) e Suzanne (2013) – prima di questo? Considerazione ovvia, eppure errata. Perché se è vero che Riparare i viventi talvolta cede alla tentazione dell’enfatizzazione, mai pretende di issarsi in cattedra a distribuire verità incontrovertibili su ciò che siamo. Al contrario, cerca di guardare una materia narrativa incandescente – la sceneggiatura, opera della stessa regista con Gilles Taurand, è tratta dal romanzo omonimo di Maylis De Karangal: passaggio di testimone da donna a donna; e lo si avverte con nitore per la sensibilità mostrata – da una prospettiva squisitamente interiore, in grado di generare empatia proprio per l’universalità delle tematiche trattate.
Lo spunto narrativo di Riparare i viventi nasce da un tragico incidente stradale, a seguito del quale il diciassettenne Simon, affamato di vita e appassionato di sport, viene dichiarato cerebralmente morto. La sua ultima giornata di surf, vissuta con altri due amici, è densa di presagi quasi metafisici; il talento registico di Katell Quillévéré lo rimarca ad ogni fotogramma, rendendo visivamente il momento del fatale impatto sulla strada attraverso una metafora acquatica capace di far venire la pelle d’oca per angoscia e bellezza, perfettamente in linea con le immagini sino ad allora mostrate. Da quel momento in poi il film palesa la sua doppia natura, sospesa tra elementi di fisicità e racconto morale. Allo strazio dei genitori separati del ragazzo (splendida Emmanuelle Seigner) fa da contraltare la richiesta, da parte di alcuni medici dell’ospedale (altrettanto ottime le performance di Tahar Rahim e Bouli Lanners), finalizzata alla donazione degli organi di Simon. Un cuore forte, sano e giovane potrebbe salvare la vita a qualcuno. Quel qualcuno è Claire, donna di mezza età (interpretata dalla bravissima Anne Dorval di Mommy) sofferente di una grave malattia degenerativa.
Riparare i viventi cerca allora con coraggio la descrizione interiore di ognuno dei tanti personaggi, mentre mette in scena con realismo per certi versi sconvolgente la (s)composizione interna del corpo umano, i suoi organi pulsanti che permettono a chi vive di pensare, di essere e di esistere. Un cerchio imperfetto – causa il Destino sempre in agguato – si chiude: la Morte regala un possibile ritorno alla Vita. Se abbondano le maiuscole è anche per un preciso riferimento/omaggio a Riparare i viventi, opera che pone l’accento su sistemi che definire massimi sarebbe persino riduttivo. Eppure Katell Quillévéré riesce nell’impresa di mantenere il tutto sui binari della pura emozione, pur eccedendo talvolta solo per un, tanto percepibile quanto comprensibile, affetto quasi disperato nei confronti di ogni essere umano messo in scena e perciò approfondito come fosse reale. Perfetta sineddoche di tale discorso lo sguardo in macchina di Claire che conclude il film: altrove – pensiamo ad esempio a Magnolia di Paul Thomas Anderson – necessario coronamento morale, nell’occasione post scriptum un po’ superfluo da parte di un’autrice forse incapace di recidere del tutto il cordone ombelicale con il suo film. Trattasi tuttavia di peccato veniale, come lo sono tutti quelli commessi, appunto, per troppo amore. E di amore, sia per la vita che addirittura per la morte in quanto logica appendice della stessa, trasuda ogni momento di Riparare i viventi. Ragion per cui è esperienza totale abbandonarsi al suo flusso, lasciandosi emozionare ad un primo impatto per poi ripensare a mente fredda alle cose che lascia dentro. Tante. Forse persino troppe. Ma va bene così.
Daniele De Angelis