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Il tuttofare

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VOTO: 6

Sempre la stessa storia?

I giovani e il precariato: uno dei temi più scottanti, ma anche, cinematograficamente parlando, più abusati degli ultimi anni. Cosa ci si può inventare, adesso, per poter mettere in scena storie del genere senza scadere pericolosamente nel già visto? A “buttarla sul ridere”, ci hanno tentato in molti. Eppure, al giorno d’oggi – e, soprattutto, dopo che son state prodotte decine e decine di pellicole sull’argomento – la chiave della commedia pare, a detta di molti, la più accreditata. Lo ha ben pensato, evidentemente, anche Valerio Attanasio, giovane cineasta qui alla sua opera prima, il quale ha dato vita a Il Tuttofare, dove importanti nomi come Sergio Castellitto e Elena Sofia Ricci – di fianco ad un protagonista con il volto di Guglielmo Poggi – hanno contribuito a dare al suddetto lavoro fin da subito una buona visibilità.
Ed è proprio il giovane Guglielmo Poggi a impersonare per noi il classico studioso-modello, laureatosi in giurisprudenza con il massimo dei voti, nonché unico praticante scelto in base ala sacrosanta meritocrazia presso lo studio di un’importante – ma corrotto – avvocato della Capitale. Finalmente riconosciute le sue grandi capacità lavorative (e di adattamento), il ragazzo, al fine di essere finalmente assunto regolarmente sotto contratto, dovrà rispettare una clausola assai insolita: sposare una giovane sudamericana, amante dell’avvocato per cui lavora, al fine di farle ottenere la cittadinanza italiana. Fino a che punto, dunque, si è disposti per arrivare a ottenere il lavoro per cui ci si è preparati una vita intera?
Con un interessante stile fumettistico, con tanto di sfondamento della quarta parete da parte del protagonista che, con un lungo flashback, si accinge a raccontarci le sue disavventure, Il Tuttofare ha indubbiamente una partenza piuttosto ben riuscita. Sono soprattutto una serie di divertenti gag a rendere l’incipit del lungometraggio abbastanza solido e accattivante da riuscire a incuriosire lo spettatore circa il successivo svolgimento dei fatti.
Il problema, tuttavia, è proprio questo: dopo un incipit che faceva ben sperare in qualcosa di buono, il lungometraggio non fa che perdere inesorabilmente di ritmo, inanellando anche una serie di gag banali e fortemente prevedibili, rendendo il risultato finale decisamente piatto e privo di mordente, dove, tuttavia, tra i punti di forza si può sicuramente annoverare quel giusto cinismo di fondo e quell’umorismo nero che si rivelano perfettamente in linea con la suddetta partenza e con ciò che si vuol raccontare.
Un esordio, dunque, che, se da un lato non riesce a “spiccare il volo” e a trovare una propria, giustificata collocazione all’interno del ricco e (spesso non troppo) variegato panorama cinematografico nostrano, dall’altro lascia comunque intravedere delle buona capacità narrative (la realizzazione dello script è dello stesso Attanasio) e di messa in scena. E, date queste premesse, non ci resta che aspettare nuovi lavori e stare a vedere quale piega prenderà la carriera di questo giovane cineasta.

Marina Pavido

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