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Il Premio

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VOTO: 5

Destinazione: Stoccolma

Un uomo anziano, professionista stimato e rispettato, intraprende un lungo viaggio in macchina al fine di ritirare un importante premio alla carriera. Durante il tragitto, l’uomo avrà modo di ripensare più volte al passato e di riconsiderare alcuni aspetti della sua vita, fino a riconciliarsi con essa stessa. La sinossi appena esposta è – senza paura di esagerare – quella di uno dei più grandi capolavori della storia del cinema. Stiamo parlando, ovviamente, del bellissimo Il posto delle fragole, diretto nel 1957 dal maestro Ingmar Bergman, con un indimenticabile Viktor Sjöstrôm nel ruolo del protagonista. Ma, come già abbiamo detto, l’anno in cui il lungometraggio di Bergman ha fatto la sua apparizione nelle sale era il lontano 1957 e, nel corso degli anni, ha avuto tutto il tempo per passare di diritto alla storia. Cosa accadrebbe, però, se al giorno d’oggi si tentasse di rileggere l’opera bergmaniana per trasformarla in commedia ed adattarla ai canoni della cinematografia italiana di grande distribuzione? Indubbiamente, malgrado i timori e le prevedibili perplessità in merito, la cosa desterebbe la curiosità di molti. Così è stato, infatti, per l’uscita dell’ultimo prodotto diretto ed interpretato da Alessandro Gassmann, Il Premio, dove al posto di Sjöström troviamo un sempre carismatico Gigi Proietti nel ruolo di uno scrittore di successo che intraprende insieme ai due figli, Oreste e Lucrezia, ed al fidato segretario Rinaldo un lungo viaggio da Roma a Stoccolma, al fine di ritirare il Premio Nobel alla Letteratura.
Malgrado, dunque, le buone intenzioni iniziali, malgrado la presenza di un cast dignitoso, che, capitanato dallo stesso Proietti, ben regge tutta la durata del lungometraggio, Il Premio, purtroppo, anche senza voler guardare necessariamente al precedente capolavoro di Bergman, proprio non riesce a decollare.
Interessante l’idea di dar vita ad un road movie che attraversi l’Europa intera, così come particolarmente indovinato è un personaggio come quello dello stesso Proietti, eppure è come se l’intero lavoro, facendosi forza su qualche sagace battuta fatta pronunciare di quando in quando al protagonista (come, d’altronde, ci si aspetterebbe da ogni brillante intellettuale) e su piccole trovate che tutto sommato sembrano funzionare, non riesca ad approfondire le non poche questioni tirate di volta in volta in ballo. E così vediamo uno spensierato Gassmann risolvere in un lasso di tempo eccessivamente breve la propria crisi coniugale, vediamo il figlio di lui perdonare in men che non si dica la propria ragazza per averlo tradito, così come vediamo lo stesso Proietti cambiare repentinamente idea circa un suo atto estremo durante il conferimento del Nobel, e via dicendo. A dir la verità, per quanto riguarda questo ultimo episodio, lo spettatore non fa neanche in tempo ad avvertire la tensione necessaria in attesa dello stesso finale, dal momento che viene informato circa le intenzioni del protagonista soltanto pochi minuti prima della scontata e semplicistica risoluzione. Siamo d’accordo, il principio hitchcockiano secondo il quale lo spettatore vada informato il più possibile viene rispettato, ma è anche vero che tal cosa va fatta con un certo raziocinio e, soprattutto, seguendo i tempi giusti.
Ed ecco che, malgrado una certa simpatia che il pubblico finisce per provare nei confronti dei suoi protagonisti, Il Premio si rivela irrimediabilmente un lungometraggio ingenuo, che gioca eccessivamente sul già visto e che avrebbe indubbiamente necessitato di una ben più profonda indagine psicologica dei personaggi, oltre che di uno script meno spaventato dall’imponente fantasma di Il posto delle fragole e più coraggioso quando si tratta di osare e di tentare il nuovo. Siamo d’accordo: la prossima volta, meglio lasciare al di fuori i grandi maestri del passato.

Marina Pavido

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