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Il maestro che promise il mare

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VOTO: 8,5

Lezioni dal passato

Sarà anche il peso del tempo trascorso dagli episodi in questione, oppure il desiderio di rendere in qualche modo palpabili i profondi mutamenti socio-politici avvenuti tra una qualsiasi tragedia del Novecento e i giorni nostri, ma non sono pochi i film che negli ultimi anni hanno scelto di narrare pagine di Storia dolorose, struggenti, ponendo al centro del racconto la difficoltosa ed emotivamente complessa ricerca di tacce affidabili da parte delle nuove generazioni, rappresentate a volte dai discendenti stessi dei protagonisti di allora.
Il primo esempio che ci viene in mente è lo splendido The Eternal Zero di Takashi Yamazaki: autori lì di una “detection” a dir poco impegnativa alcuni giovani giapponesi, desiderosi di saperne di più sul nonno, enigmatico pilota kamikaze morto durante la Seconda Guerra Mondiale in circostanze mai veramente chiarite e con testimonianze contraddittorie a riguardo. Approderà invece a settembre nelle sale italiane Il maestro che promise il mare della catalana Patricia Font. Altro continente, altra guerra da ricordare, altra cornice politica e sociale. Analogo nel suo lungometraggio è però il desiderio di rievocare eventi tragici del passato, attraverso un’indagine appassionata, meticolosa e sofferta compiuta nel presente.

In primo piano “amabili resti”. Ne Il maestro che promise il mare, che s’ispira a un romanzo di Francesc Escribano intitolato “Desterrando el silencio: Antoni Benaiges, el maestro que inventó el mar”, il pretesto iniziale è offerto da un’encomiabile iniziativa realmente portata avanti, proprio di questi tempi, in terra spagnola. Ci riferiamo a quegli scavi effettuati nella provincia di Burgos, per ridare un nome e una sepoltura dignitosa a centinaia di oppositori del regime franchista, trucidati e seppelliti in fosse comuni nel corso degli anni ’30. Il tema della memoria, quindi. E anche nella dolente opera cinematografica di Patricia Font a farsene carico è una persona giovane: l’unica, in famiglia, a voler fare luce sul passato del nonno, giunto quasi al termine della sua esistenza senza aver raccontato ad anima viva le atrocità cui dovette assistere, da bambino, agli albori della Guerra Civile Spagnola. Contattata dai volontari impegnati nella riesumazione dei corpi, la premurosa nipote scoprirà per gradi la straordinaria per quanto tristissima storia del maestro elementare Antoni Benaiges, che aveva avuto tra i suoi alunni anche il nonno: giunto da Barcellona in quel piccolo borgo sito nella provincia di Burgos, fedele agli ideali della Spagna repubblicana, il giovane maestro aveva saputo instaurare un legame profondo coi propri studenti applicando programmi innovativi per l’epoca, abolendo le punizioni corporali, proponendo un modello d’insegnamento maggiormente partecipativo e facendo infine a quei bimbi tra i sei e i dodici anni un’impegnativa promessa; ovvero portarli tutti in gita a vedere il mare, per la prima volta in vita loro. Ma questa sua fervida attività, improntata anche a prospettive laiche e a un anticlericalismo di fondo, finirà per risultare sgradita alle autorità locali, a partire naturalmente dal truce parroco cui era stata precedentemente sottratta l’educazione (d’impronta particolarmente rigida e severa, nelle sue mani) dei bambini stessi. Così con l’arrivo delle truppe franchiste in paese non potrà che profilarsi un epilogo tragico, all’orizzonte…

Patricia Font è non brava, bravissima, nel far dialogare tra loro i diversi piani temporali della narrazione. La ricerca compiuta dalla nipote nel presente diventa pertanto una piccola lezione di educazione civica, arricchita da affetti famigliari sinceri e da una reale empatia. Mentre è la parte in costume del film a fare la differenza. Laddove l’approccio libero, puro, generoso e creativo all’insegnamento dello sfortunato maestro Antoni Benaiges può diventare, giustamente, un esempio per tutti.

Stefano Coccia

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