Combatti o muori
Era il maggio del Duemila quando nelle sale di mezzo mondo usciva uno di quei film che, insieme al suo protagonista, è stato capace di entrare nei cuori e nell’immaginario collettivo al punto da rimanerci nei decenni avvenire così come alcune battute e note sono divenute iconiche. Per chi non l’avesse capito è de Il Gladiatore e di Massimo Decimo Meridio che stiamo parlando, rispettivamente la pellicola di Ridley Scott vincitrice di cinque premi Oscar e del suo interprete principale Russell Crowe, la cui performance nei panni del celebre legato ispano-romano valse all’attore australiano una delle prestigiose statuette.
Visto il successo planetario ottenuto all’epoca, compreso quello al botteghino, per anni si è ipotizzata e desiderata la realizzazione di un sequel, ma un po’ la mancanza di coraggio di rimettere mani a un cult, un po’ l’elevato budget necessario per portare sullo schermo un kolossal tecnicamente superiore e degno del predecessore, un po’ la morte del protagonista nell’epilogo, rendevano il progetto di dare un seguito alla vicenda piuttosto complesso, per non dire impossibile, da concretizzare. Questi ostacoli più che legittimi hanno impedito la messa in cantiere e la posa della prima pietra. Le uniche strade narrative e drammaturgiche facilmente percorribili erano dunque un prequel o un reboot per bypassare il problema principale, ossia il decesso di Massimo, ma né i produttori tantomeno il regista hanno voluto optare per una di queste soluzioni. Motivo per cui intenzioni, ipotesi e propositi si sono arenati per oltre un ventennio, restando in ghiacciaia almeno fino a quando è spuntato dalla timeline e dal racconto del film del Duemila quel cavillo che ha permesso allo sceneggiatore David Scarpa di gettare le basi di un plot sufficientemente credibile, coerente e ben strutturato per dare forma e sostanza allo script di un sequel. Ed è quella scintilla che ha consentito alla storia di tornare ad ardere anche senza Massimo e a una nuova figura altrettanto forte di prendere il suo posto nella sanguinaria e temuta arena.
Nasce così Il Gladiatore II, la cui attesa lunga ventiquattro anni terminerà il 14 novembre in occasione dell’uscita nelle sale nostrane (mentre in quelle britanniche e nordamericane arriverà il 15 dello stesso mese) con Eagle Pictures, giorno in cui la pellicola si mostrerà finalmente al pubblico, dando di fatto un seguito alla straordinaria saga di potere, intrighi e vendetta ambientata nell’antica Roma nata dalla penna di David Franzoni. Per non rovinarvi la visione e rischiare un qualche tipo di spoiler ci limiteremo a dire che anni dopo aver assistito alla tragica morte del venerato eroe Massimo per mano del suo perfido zio, Lucio, un soldato di istanza in Numidia si trova costretto a combattere nel Colosseo dopo che la sua patria viene conquistata da parte di due tirannici imperatori, che ora governano Roma. Con il cuore ardente di rabbia anche per la morte della moglie e il destino dell’Impero appeso a un filo, l’uomo deve affrontare pericoli e nemici, riscoprendo nel suo passato la forza e l’onore necessari per riportare la gloria di Roma al suo popolo. Il resto – e non è poco – lo lasciamo alla visione di un film che oltre a permettere alla saga di proseguire con un nuovo capitolo per quanto ci riguarda assolutamente all’altezza della situazione, è anche un’opportunità per tornare finalmente a respirare quell’epica e a godere di quello spettacolo che solo i grandi kolossal legati alla storia dell’antica Roma e registi del calibro di Ridley Scott sono stati in grado di ricreare sullo schermo. Troppe volte si è assistito a dei circhi audiovisivi che hanno tentato di raggiungere invano gli stessi risultati de Il Gladiatore. Per sua e nostra fortuna il cineasta britannico è riuscito nell’impresa, portando a termine un’operazione sulla quale aleggiava un misto di speranza, curiosità e una buona dose di scetticismo.
Il risultato è una pellicola che poggia le proprie fondamenta su una narrazione solida, avvincente e intricata al punto giusto, animata da una schiera di nuovi personaggi che fanno da spalla a una vecchia conoscenza della saga, ossia un giovane Lucio ora adulto, che per chi non lo ricordasse era il nipote di Marco Aurelio nonché figlio di Lucilla. Siamo nel 200 d.C., vent’anni dopo la morte di Massimo, con il protagonista che seguendo le impronte del suo illustre e indimenticato predecessore decide di combattere come gladiatore e sfidare il potere degli imperatori Caracalla e Geta. Le trame del misterioso passato e del privato di Lucio che lo riporteranno nella capitale si intrecciano e in maniera deflagrante con quelle del destino di un Impero ora nelle grinfie di due tiranni, che si troveranno a loro volta al centro di una cospirazione architettata da figure che lavorano nell’ombra come Macrinus, personaggio di stampo shakesperiano al quale ha prestato le sue inesauribile qualità performative uno straordinario Denzel Washington. Ma era a Paul Mescal che spettava il compito più arduo, quello di raccogliere il testimone da Crowe. L’attore irlandese non si è fatto sfuggire l’occasione della vita mettendo al servizio del personaggio di Lucio e di un film così importante le doti recitative messe in mostra a teatro (nel 2023 si è aggiudicato il Laurence Olivier Award al miglior attore per la sua interpretazione nel ruolo di Stanley Kowalski in Un tram che si chiama Desiderio) e sul piccolo e grande schermo con la miniserie Normal People, Aftersun ed Estranei. A queste si vanno ad aggiungere quelle fisiche che gli hanno permesso di risultare credibile anche nelle scene più dinamiche e spettacolari presenti nella timeline, a cominciare dal prologo dell’invasione navale a quelle dei numerosi combattimenti nell’arena che lo vedono scontrarsi all’ultimo sangue con scimmie, rinoceronti, squali e altri gladiatori armati fino ai denti. Il tutto consegna una scarica di adrenalina e tensione che viene iniettata nelle vene e negli occhi nel corso di 140 minuti che volano via senza che il fruitore se ne accorga.
Francesco Del Grosso