Frammenti di Es
Dirigere un’opera cinematografica significa sempre, in qualche modo, mettere in scena se stessi. Il regista siciliano Fabio Nicosia ha preso alla lettera tale assioma, realizzando un film sperimentale dal curioso titolo Il ghigno e la mucca, presentato nel corso della seconda sessione di IndieCinema 2020, rassegna di cinema indipendente in streaming. Un’ora e venti – questa la durata del lungometraggio – di sfida. A se stesso (come autore) ed allo spettatore. Mettendo in scena, sostanzialmente, un rimosso. Una lunga sequenza di immagini frammentata in capitoli senza apparente connessione tra loro eppure, in tutta evidenza, appartenenti in ogni fotogramma a quel perturbante che tanto deve avere inciso sulla psiche del regista. Dall’altro lato il fruitore, il quale deve compiere lo sforzo di compenetrarsi alle immagini in libertà mostrate. Ordinarle e cercare di fornirgli un senso compiuto. Magari provando ad empatizzare con qualche residuo emotivo del passato.
Appare scontato, sin da questa sommaria introduzione, come Il ghigno e la mucca non sia un film “facile”. Bensì un’opera tutta da decrittare, immagine dopo immagine. Eppure riesce davvero difficile resistere alla fascinazione di un bianco e nero – con studiate “intrusioni” di colore – proveniente da una dimensione altra, accompagnato da musiche di pianoforte composte dallo stesso Nicosia. Il quale è, a tutti gli effetti, un musicista. Ecco allora che le due componenti, quella visiva e quella musicale, divengono sorta di binomio inscindibile, assolutamente inseparabile l’una dall’altra. Un percorso a ritroso sul filo di una memoria reinterpretata in chiave psicoanalitica, popolata di istantanee – come ad esempio un uomo barbuto in abito da sposa – che non avrebbero sfigurato in un’opera diretta da Federico Fellini o David Lynch. Fabio Nicosia, con questo suo lungometraggio d’esordio, apre la sua mente/memoria senza i filtri di una narrazione più o meno convenzionale. E ciò che ne esce, al di là degli inevitabili limiti solipsistici di un trip formale assolutamente personale, è un film di innegabile fascinazione. A tratti respingente ma perfettamente in grado di penetrare uno sguardo esterno per merito di letture che potrebbero definirsi universali. Nel mostrare la fame di conoscenza del bambino che è stato (e che è ancora, probabilmente) il regista compie un gesto di assoluto altruismo, cercando e trovando quel comune denominatore che rende Il ghigno e la mucca (quasi) totalmente accessibile anche ad uno sguardo estraneo. Un bravo dunque al piccolo Agostino Sparacino, attore ballerino di appena dieci anni, per l’occasione alter ego del regista di un film sospeso tra paure fortemente radicate nell’inconscio e ansia di intraprendere un percorso esistenziale tutto da definire.
Un’esperienza semi-onirica che si può rifiutare oppure condividere, con il suo autore. Allo spettatore la libertà della scelta, come sempre dovrebbe accadere non solo nel cinema che nasce da una circostanziata esigenza intima.
Daniele De Angelis
Il film è disponibile per la visione sulla piattaforma IndieCinema