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I segni del cuore – CODA

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VOTO: 6.5

I sogni son desideri

Sorprendente. Ma fino ad un certo punto. Diversi fattori hanno contribuito all’esito trionfale de I segni del cuore – CODA agli Academy Awards 2022. La tematica sensibile della disabilità come ostacolo al pieno inserimento nella vita sociale. L’ottimismo scaturito dalla determinazione nel superare le asperità di un percorso esistenziale accidentato. Ma probabilmente, più di ogni altra cosa, i giurati hanno privilegiato un’insopprimibile esigenza di normalità, tra pandemia, guerre ed altre calamità assortite in corso d’opera. I segni del cuore – CODA – remake statunitense del film francese La famiglia Bélier (2014) di Eric Lartigau, in grado di muoversi su registri maggiormente ironici – altro non è che una favola di formazione, raccontata ed ascoltata milioni di volte non solo al cinema ma proprio per questo motivo eternamente rassicurante.
Non a caso, un resoconto sommario della trama potrebbe competere, con ottime possibilità di vittoria, in una ipotetica fiera delle ovvietà. La teen-ager Ruby Rossi è l’unica udente nonché capace di parlare, di una famiglia diversamente abile. Papà Frank, mamma Jackie e fratello maggiore Leo sono infatti sordomuti dalla nascita. Ruby scopre di avere passione e talento per il canto. S’imbatte in Bernardo Villalobos, professore ispanico anticonformista incaricato di sgrezzare quel diamante purissimo. Grazie alla musica Ruby riuscirà anche ad avvicinare il ragazzo dei suoi sogni, compagno di scuola da cui era precedentemente intimidita. Ad indovinare i successivi sviluppi, insomma, non è certo necessario godere di particolari doti di preveggenza. Eppure, tra le pieghe (o le piaghe, che dir si voglia) di un plot quantomai scontato, la regista e sceneggiatrice Sian Heder inserisce istanze capaci di fornire un certo spessore all’insieme. In primo luogo il dilemma personale di Ruby sul senso di responsabilità verso il resto della famiglia, completamente dipendente da lei in alcuni specifici frangenti. E se l’appartenenza dei Rossi alla cosiddetta working class – vivono di pesca, possedendo una piccola imbarcazione. Una vita di sacrifici… – appare più un espediente narrativo studiato per catturare ulteriore empatia che un serio motivo di approfondimento sociale, nondimeno la Heder si distingue, oltre che per la buona direzione del cast, anche per qualche momento d’ispirazione capace di esulare da una regia per il resto di fattura mediamente televisiva. Al saggio scolastico di Ruby tutta la famiglia si siede in platea. D’un tratto il punto di vista passa da oggettivo a soggettivo. La musica ed il canto si interrompono, facendo calare un innaturale silenzio. Lo spettatore viene così catapultato nei panni dei genitori di Ruby, i quali cercano di capire dalle reazioni degli altri presenti se lo show della figlia sta avendo un buon riscontro o meno. Una sequenza che da sola vale l’intera visione del lungometraggio.
Probabilmente, in tempi diversi, I segni del cuore – CODA non avrebbe nemmeno meritato la candidatura tra i migliori film della stagione. Tuttavia anche la tempistica può considerarsi un punto a proprio favore. E, come appunto nelle migliori favole, è sopraggiunto nell’epilogo extra-diegetico pure un classico principe azzurro, sotto forma di statuetta dorata. Nel finale del film invece Ruby – benissimo interpretata da Emilia Jones, accompagnata da veri non udenti Troy Kotsur (Oscar come non protagonista) e la rediviva Marlee Matlin, genitori molto “alternativi”, vedere per credere – raggiunge un traguardo ben più importante: la consapevolezza di essere diventata una persona matura in grado di compiere determinate scelte, anche difficili. Un “the end” invero tutt’altro che spiazzante, per un’opera partorita allo scopo di intrattenere, far riflettere quel tanto che basta ma, soprattutto, piacere. Missione compiuta.

Daniele De Angelis

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