La Danza del Leone, animata tra Mito e Realtà
Potremmo partire da una piccola provocazione. Se di recente il tanto decantato Encanto (perdonate il bisticcio) della Disney ha saputo produrre ancora una volta meraviglia negli occhi dello spettatore, risultando però a nostro avviso più prevedibile, superficiale e pasticciato del solito nelle linee guida del racconto, l’impressione è che con I Am What I Am di Sun Haipeng l’animazione cinese abbia compiuto un ulteriore balzo in avanti, a tutti i livelli, tanto da vincere a mani basse l’ipotetico confronto: reggendo cioè sul piano della maturità stilistica e delle tecniche di animazione, innanzitutto, coniugate però nella circostanza con una poetica generale che si nutre di temi importanti, ben strutturati nell’assai articolata modulazione di motivi tradizionali e ritratti della Cina di oggi. Strepitoso è stato ad ogni modo l’effetto sul pubblico di Udine, essendo stato mostrato il film nel corso del 24° Far East Film Festival.
Sotto i riflettori la tradizionale Danza del Leone. Costumi dai colori sgargianti e notevoli qualità ginniche, in funzione di un antico rituale concepito anche come gara, come prova di bravura, il cui svolgimento è caratterizzato peraltro da diverse fasi. Ciò traspare dallo stilizzato, elegante prologo, che rende omaggio a questa Tradizione evidenziando al contempo una certa ricchezza espressiva.
Soprattutto se la sequenza successiva, tutta incentrata sul movimento (e la fluidità dell’animazione sta senz’altro crescendo, nei prodotti cinematografici cinesi di maggior qualità), è invece focalizzata sulla presentazione del protagonista Ah Juan, adolescente con una situazione famigliare difficile, bullizzato da quelli più grandi e grossi di lui, apparentemente troppo delicato per saper migliorare la propria condizione ma fermamente determinato (anche in virtù del fortunato incontro con la giovane campionessa che agli inizi lo aiuterà) ad approcciare la Danza del Leone, sua grande passione sin dall’infanzia, con l’energia sufficiente a propiziare un riscatto generazionale e sociale.
Potrebbe apparire un percorso obbligato, a questo punto, persino rigido nell’archetipica formulazione di duri allenamenti, momenti di sconforto e nuova forza acquisita a tappe, cui va incontro il ragazzo; eppure I Am What I Am evitando un “centro di gravità permanente” riesce a mantenere viva la partecipazione emotiva dello spettatore, così da portare avanti un convincente discorso motivazionale e di crescita personale senza trascurare nulla del caleidoscopio di colori e di esperienze, col quale viene affrescata la Cina contemporanea. Anche i personaggi che accompagnano Ah Juan in tale cammino, sia come alleati che da avversari (talvolta solo temporanei, visto che il messaggio di tanti blockbuster cinesi resta sempre il ritrovamento di una forte unità popolare), sono tutt’altro che comprimari. E la brillante messa a fuoco di questi elementi porta dritto a una sequenza davvero magnifica, quella della Danza del Leone conclusiva (col superamento dell’ostacolo più difficile) e delle diverse squadre che si contengono il primato, laddove tra lampi di humour, spericolate acrobazie e commozione autentica tutti i nodi verranno al pettine.
Stefano Coccia