In mezzo a due fuochi
Reem è una giovane madre con un marito molto geloso. Un giorno si reca a Betlemme, al salone di Huda, ma questa visita come le altre diventa un incubo quando la titolare la sequestra e la ricatta per costringerla a lavorare per i servizi segreti degli occupanti, e quindi contro il suo stesso popolo. Quella di Reem, e di tante donne come lei, è una storia realmente accaduta. Il suo però, come quelli di tutti gli altri personaggi che a vario titolo vi hanno preso parte, è un nome fittizio, perché come lo spettatore avrà modo di vedere nel film che Hany Abu-Assad ha realizzato su questa vicenda, la questione probabilmente non si è ancora risolta. Il finale aperto, ma non privo di conseguenze e strascichi, al quale la platea assisterà al termine di Huda’s Salon, presentato in concorso al 4° Oltre lo specchio Festival a un anno circa di distanza dalle proiezioni sugli schermi delle kermesse di Toronto e Valladolid, è solo l’inizio di un incubo ad occhi aperti dal quale la protagonista dell’ultima fatica dietro la macchina da presa del pluripremiato cineasta palestinese non si sveglierà mai.
Il salone di bellezza che presta il titolo alla pellicola del due volte candidato all’Oscar è dove l’incubo di Reem prende il via. Un luogo, questo, dove tante donne come lei vanno per scambiarsi confidenze, parlare del più e del meno, ma soprattutto per “evadere” qualche ora dagli obblighi domestici e da mariti padroni e possessivi. Un luogo che da rifugio si trasforma improvvisamente in una trappola quando le malcapitate di turno scoprono trattarsi di un centro di reclutamento di spie e informatori. A quel punto è già troppo tardi, con la vittima che si ritrova nel mezzo di due fuochi che ardono pericolosamente in egual misura. Quello con il quale si trova a fare i conti la protagonista di Huda’s Salon non è di quei fuochi che si spengono con facilità, al contrario continuano a bruciare da decenni alimentati da un vento di odio, morte, violenza, dolore, sofferenza e tortura. Il personaggio, interpretato da una convincente Maisa Abd Elhadi alla quale fanno da spalla colleghi del calibro di Ali Suliman e Manal Awad, è solo una delle ignare pedine di una guerra senza fine. La sua, con neonata al seguito, diventa una vera e propria lotta per la sopravvivenza fuori e dentro le mura domestiche, dove anche chi dovrebbe aiutarla diventa a sua volta complice.
Hany Abu-Assad ci scaraventa senza se e senza ma nell’incubo e lo fa in media res con i primi minuti che mostrano Reem cadere nella trappola. Da quel momento si assiste a una rapida discesa agli inferi di una donna comune che si trova a lottare per la sopravvivenza sua e di sua figlia. La minaccia è costante, nascosta dietro l’angolo. Proprio questa caccia alla preda di turno diventa il motore portante della pellicola, che si trasforma in un thriller ansiogeno in odore di spy-story che consente al regista di Nazareth di tornare ad affrontare un tema a lui caro e molto sentito. Con Huda’s Salon, Abu-Assad torna a parlare di collaborazionismo, un tema scottante e sempre attualissimo, che aveva già toccato e approfondito in passato con film come Omar e Paradise Now.
Anche in questo caso parte da fatti reali per cucire i fili intricati di un’opera che si sporca le mani, affondandole in un argomento difficile e complesso da approcciare. Ma Abu-Assad ha dimostrato ampiamente di avere i mezzi e le capacità per farlo. A differenza del passato però non lo fa con la stessa decisione e incisività emersa in passato, perdendo così l’occasione di affondare una volta per tutte la lama in una ferita ancora aperta e che non sapremo mai quando si cicatrizzerà. Il risultato attanaglia e coinvolge lo spettatore, ma più da un punto di vista del racconto in sé e delle dinamiche drammatiche e spionistiche che da quello della tematica in questione. Se nei film precedenti questo era centrale, qui serve più a muovere i fili della trama mistery. In Huda’s Salon viene meno l’equilibrio tra le due componenti, con l’autore che sembra più preoccupato di portare a casa l’intreccio e a farlo quadrare più che a fare ulteriormente luce su un contenuto scottante e su nuovi interrogativi ad esso legati.
Francesco Del Grosso