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New Religion

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VOTO: 8

Sfarfallii della mente

Tra le note biografiche di Keishi Kondo ve n’è una che non può fare a meno di attirare l’attenzione, se per caso ci si è già confrontati con questo suo inquietantissimo lungometraggio d’esordio, New Religion: il suo essere attivo in Giappone anche nell’ambito della musica sperimentale e di performance sonore estreme.
Una traccia rivelatrice, questa. Nell’intro del film il riflesso di tale ricerca artistica costituisce già un primo accesso al perturbante. Sonorità sgradevoli accompagnano infatti quelle immagini confuse, magmatiche, dai cromatismi eccessivi e ossessivi, il cui senso inizialmente sfugge ma che si legheranno morbosamente agli sviluppi dello scarno ma terrificante racconto.

Presentato fuori concorso al Trieste Science + Fiction 2022, New Religion approccia da prospettive assai disturbanti elaborazione del lutto e sensi di colpa. Al centro del plot vi è il dramma di Miyabi: dopo aver perso la figlioletta in uno sfortunato incidente, la giovane donna si è vista costretta a divorziare dal marito, a trovare lavoro come squillo d’alto bordo e a impegnare quel poco che è rimasto della propria sfera emotiva nel rapporto con un musicista, vissuto però senza particolare trasporto.
In questo quadro di per sé desolante va ad inserirsi l’apparizione di una sinistra figura, suo cliente ma al contempo individuo spento, raccapricciante, funereo, le cui pratiche dal sapore quasi rituale sconvolgeranno definitivamente l’esistenza di Miyabi. E non solo la sua. L’uomo pare essere infatti il tramite di un’oscura maledizione che ottenebra le menti di chi cade nel suo raggio d’azione, trasformandolo a livello psichico come pure fisicamente (è da un bozzolo che rinascono le vittime, come fossero nuove entità), rendendolo inoltre strumento di azioni perverse e malvagie.
La figura archetipica che regna su questa empia distorsione della realtà e dei sentimenti umani pare essere l’Uomo Falena (o Mothman, nell’accezione anglosassone). Piuttosto però che rifarsi a dozzinali modelli occidentali, nel trasfigurare tale ombra in un progetto cinematografico dal timbro comunque molto personale, originale, straniante, Keishi Kondo dà invece l’impressione di inseguire ben altre atmosfere. Oniriche e intimiste. Crudeli e malate. Tali da ricordare, semmai, l’universo crepuscolare di un grande autore del cinema giapponese, raffinato interprete di svariati generi, quale senz’altro è Kiyoshi Kurosawa.

Stefano Coccia

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