Ossessione dorata
Sin dalla notte dei tempi, il classico sogno americano è stato spesso composto dal metallo più pregiato esistente in natura. Non stupisce, dunque, che le due istanze – quella dell’american dream e quella della ricerca dell’oro – finiscano con il coincidere in un film, intitolato per l’appunto Gold – La grande truffa, che pareva concepito appositamente per disseppellire antiche ossessioni pionieristiche. Questo sulla carta. Perché alla resa dei conti risultano un po’ troppi gli scricchiolii che affliggono l’ultima opera registica di Stephen Gaghan, sceneggiatore di vaglia assurto a fama internazionale grazie allo script dell’ottimo e corale action-noir Traffic (2000) diretto da Steven Soderbergh. Ispirato a fatti realmente accaduti verso la fine dei famigerati anni ottanta, decennio durante il quale il capitalismo a stelle e strisce trovò un proprio liberismo selvaggio del tutto fuori controllo, Gold già mette il cinefilo più attento sul chi va là nell’apprendere dai crediti che Gaghan non figura come sceneggiatore, fatto in assoluto inedito per le sue regie. La prima impressione allora, che troverà ampia conferma nell’arco della visione, pare quella di un lungometraggio diretto su commissione, quasi del tutto privo dei segni distintivi impressi da Gaghan soprattutto nella sua più celebre opera da lui diretta, cioè il bel thriller politico Syriana (2005). Niente coralità spezzettata – poi sapientemente ricongiunta – del racconto, nessuna ambizione di tracciare coordinate di una modernità senza regole in un mondo iper-tecnologicizzato: questo tuffo in un passato non troppo remoto possiede il sapore assai poco riconoscibile del film pensato e girato con una correttezza formale priva di qualsivoglia velleità autoriale.
Kenny Wells (Matthew McConaughey), erede di una società che investe nell’estrazione di minerali pregiati, a seguito di operazioni sbagliate se la passa piuttosto male. Non gli manca la fiducia da parte della donna amata, Kay (Bryce Dallas Howard), ma il suo obiettivo rimane quello di trovare quell’oro che gli permetta di alzare vertiginosamente il proprio tenore di vita. Un nuovo incontro con il famoso geologo Michael Acosta (Edgar Ramirez) gli svelerà nuovi orizzonti possibili atti a realizzare in Indonesia l’utopia di un’intera vita.
Affermare che in Gold risulta quasi del tutto assente la psichica discesa negli inferi dell’ossessione è quasi scontato. Con Martin Scorsese in altre faccende affaccendato al povero Gaghan non rimane che fare del suo lavoro un impersonale rilettura atemporale del mito del self-made-made americano. Un’operazione, insomma, buona per tutte le stagioni, da poggiare interamente sulle spalle del suo attore protagonista. Il quale però, in questa specifica occasione, poco supportato dalla sceneggiatura dei “televisivi” Patrick Massett e John Zinman, ricorre ad un istrionismo recitativo decisamente eccessivo e poco calibrato. A cui fa da controcanto l’interpretazione in totale sottrazione di un opaco Edgar Martinez. A zavorrare definitivamente un’opera sin troppo convenzionale nella sua cornice comunque spettacolare, ecco arrivare un deleterio epilogo intriso di un buonismo del tutto fuori luogo in un film nel quale grettezza e rapacità economica avrebbero dovuto costituire i pilastri fondanti. Viene davvero spontaneo chiedersi se, in un mondo allora come ora dominato dal dollaro e operazioni di borsa “drogate” nonché oscure trame dietro le quinte, ci sia ancora spazio per lealtà ed amicizia espresse oltretutto attraverso un (presunto) colpo di scena narrativo giunto fuori tempo massimo.
Un posticcio moralismo di fondo che contribuisce a fare di Gold – La grande truffa niente più che un intrattenimento appena decoroso, incapace di lasciare una traccia consistente come era – viste le premesse di partenza – certamente più che lecito sperare. Attendiamo dunque sia Stephen Gaghan che Matthew McConaughey a prove cinematografiche ben più sostanziose. Meglio se separatamente, a questo punto.
Daniele De Angelis