L’amore per andare avanti, nonostante tutto
È difficile spiegare a parole cosa si prova quando un nostro caro viene a mancare, quando quel volto tanto familiare si allontana dai nostri occhi per rimanere impresso unicamente nella nostra memoria. Certo è una sensazione di freddo, di morte, di tutto ciò che è opposto al calore, alla vitalità. È allora che, per andare avanti, avvertiamo il bisogno di scaldarci, di farci vicino a chi è rimasto, di coprirci il cuore, così esposto alla sofferenza. Going West (traduzione inglese dal titolo originale Rett Vest), ultima opera del giovane regista norvegese Henrik Martin Dahlsbakken, presentata questo mese in anteprima italiana assoluta al festival queer Orlando di Bergamo, è uno di quei film che il cuore lo scaldano e che tentano di rimettere insieme i pezzi dei propri protagonisti, e, attraverso i loro, i nostri. Come nella tessitura di una trapunta variopinta, oggetto importante nel film perché frutto delle mani di una moglie e di una madre scomparsa, Dahlsbakken intreccia le storie dei suoi personaggi per dare vita a questo grazioso “road movie” dai molti toni e dalle molte sfumature.
Quando Irene muore, vinta da un tumore, suo marito, Georg, crossdresser, e suo figlio, Kasper, che di mestiere fa l’insegnante di musica, si ritrovano nella difficile situazione di dovere ritrovare la propria strada, elaborando il lutto. Kasper viene licenziato dalla scuola a causa dell’abuso di alcol e suo padre, che non se la passa meglio, chiuso da mesi tra le pareti di casa, circondato da bottiglie e lattine di birra finite, gli propone di mettersi in viaggio insieme a lui verso l’isola di Ona, per fare le veci della madre e prendere parte al posto suo a una competizione per la miglior trapunta fatta a mano cui Irene avrebbe desiderato partecipare. Il viaggio si rivelerà più movimentato del previsto e offrirà ai due l’occasione per ritrovare vecchie conoscenze e fare nuovi incontri, riacquistando la serenità e la voglia di guardare positivamente al futuro.
A prima vista, l’atipicità della trama e del soggetto proposto da Dahlsbakken dovrebbe risiedere nella figura di Georg, insolita figura paterna che ama fin da giovane vestirsi e truccarsi come una donna. La presenza di questo personaggio è ovviamente il motivo per il quale Going West è stato proiettato nel contesto del festival Orlando di Bergamo, ma è necessario sottolineare quanto poco il regista calchi la mano su questo tema. Trovando, in realtà, mediante questo suo approccio soft, la maniera migliore per metterlo in evidenza come abitudine naturale e del tutto genuina per le persone come Georg e chi sta loro attorno. Nel film non si parla quasi mai direttamente di “crossdressing”, fatta eccezione per la conversazione tra Kasper e alcune ragazze attorno a un falò, bensì l’argomento, quelle rare volte in cui viene discusso e non passato sottotraccia, è filtrato attraverso l’umorismo, di cui tutto Going West è permeato. Come detto, Dahlsbakken sembra avere ponderato attentamente questa scelta in modo tale da far emergere tale tematica e la sua attualità proprio nel momento in cui non vi pone l’accento.
I due poli attorno ai quali ruota l’opera del giovane norvegese sono l’amore e il dolore, ma non vi è pesantezza nell’alternarsi di momenti felici e momenti tristi. La chiave di lettura di Going West è, al contrario, la leggerezza, la stessa grazie alla quale non manca la comicità, anzi, in alcune scene si ride molto e pure di gusto. Passato e presente si mescolano e gli accordi di chitarra in sottofondo legano tra loro flashback agrodolci, che ci riportano indietro a quando Irene era ancora in vita, e istanti, lacrime e risate del presente, in cui vi è spazio per nuovi amori e nuove passioni. I protagonisti del film di Dahlsbakken hanno tutti, chi più o chi meno, un evento che ha scosso le loro vite e provato i loro animi nel passato. Il loro è un progressivo cammino di riconquista di sé e della propria esistenza: non un dolore autodistruttivo e chiuso in se stesso, dunque, ma un dolore che crea affetto e solidarietà disinteressata e che conduce a un finale abbastanza scontato, ma non per questo meno intenso. Come un sorriso che finalmente ricompare, dopo che il pianto s’è asciugato.
Marco Michielis