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Resina

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VOTO: 6.5

Tutti insieme con Maria

La resina, si sa, fa da collante all’interno degli alberi. Senza di essa, i tronchi si sfilaccerebbero inevitabilmente. Un elemento fondamentale, dunque, ma al quale difficilmente si fa caso, nascosto com’è all’interno del legno. Ad essa potrebbe essere paragonata anche la figura di Maria, protagonista del lungometraggio Resina, appunto, opera prima del giovane documentarista Renzo Carbonera. Anche Maria, piccola e apparentemente indifesa com’è, sembra inizialmente una personcina del tutto anonima e insignificante, all’interno del piccolo paese del Trentino, dove dopo molti anni è tornata per raggiungere la sua famiglia. Anche di lei ci si accorge difficilmente, quando la si vede camminare per le strade. Eppure, ben presto, la sua figura assumerà un ruolo centrale per quanto riguarda la direzione del coro del paese. Si tratta di un coro con una storia importante, ma al quale nessun altro sembra ormai credere e che vede al suo interno solo quattro o cinque ubriaconi del paese stesso. Un coro su cui sembra puntare solo Quirino, deciso a partecipare a un importante concorso internazionale e che ha da subito visto nella giovane Maria una possibile soluzione a tutti i suoi problemi.

La storia di una giovane donna, dunque, che, abbandonata la sua vecchia vita, si ritrova a dover gestire un gruppo svogliato e, a suo modo, indisciplinato. A fare da collante, la musica. Un soggetto del genere inevitabilmente fa pensare al cult Tutti insieme appassionatamente, fortunato musical firmato Robert Wise del 1965 che vide una brillante Julie Andrews vestire i panni di Maria (ruolo simile, stesso nome), ex novizia alle prese con un gruppo di sette indisciplinati ragazzini. Se, però, a suo tempo, Wise aveva messo in scena un delizioso film corale, in cui oltre alle vicende personali della protagonista veniva caratterizzato anche ogni singolo bambino, in Resina questa caratterizzazione dei membri del coro è decisamente carente. La cosa può rappresentare un problema? Certamente, se il fulcro attorno a cui ruota tutto il lungometraggio è la scoperta di Maria di un proprio posto nel mondo, unitamente al destino del coro stesso. E invece, tutto sembra essere trattato in modo marginale, fatta eccezione per un paio di membri del gruppo maggiormente indisciplinati che sembrano credere poco in quello che si fa. Ciò su cui Carbonera si è concentrato è (quasi) esclusivamente la figura di Maria stessa e il suo conseguente spaesamento all’interno di un paesino lontano dal resto del mondo e di una famiglia in cui i componenti soffrono ancora per un recente lutto. E la cosa andrebbe anche bene, se altri importanti elementi tirati in ballo non venissero trattati marginalmente. Se non altro forte si fa sentire il bisogno di creare anche una certa empatia tra lo spettatore e la protagonista, con tutti i suoi obiettivi e i suoi sogni. Fortunatamente, a colmare questa sorta di “vuoto” ha pensato la giovane e brava Maria Roveran, qui in una delle sue prove attoriali più intense e meglio riuscite.
Ulteriore nota di merito per questo lavoro di Carbonera: la scelta della location. L’ambiente, il remoto paese del Trentino in cui si svolge la vicenda, sembra parte di un mondo a sé (basti pensare che soltanto qui gli abitanti parlano il cimbro, lingua arcaica antenata del tedesco), di un mondo in cui il tempo sembra essersi fermato e dove non c’è posto nemmeno per la tecnologia (raramente si vedono i personaggi al cellulare, mentre non v’è traccia alcuna di computer e affini). Ed ecco che questo paesino sito in una vallata tra le Alpi viene trattato alla stregua di un vero e proprio personaggio, con lunghe e suggestive inquadrature che tanto stanno a ricordare quelle scelte da Olivier Assayas nel suo Sils Maria (2014) e che vengono rese ancor più potenti da un commento musicale formato dal Coro Polifonico di Ruda, alla cui storia lo stesso Renzo Carbonera si è ispirato per realizzare il presente lungometraggio.
Un’opera imperfetta, dunque, questa Resina. Imperfetta ma, allo stesso tempo, con parecchi punti di interesse al proprio interno. Un’opera la cui imperfezione può essere probabilmente attribuita alla scarsa esperienza del regista stesso, ma che, tuttavia, rappresenta una sorta di mosca bianca all’interno del panorama cinematografico italiano contemporaneo. E questo, ovviamente, non fa che renderci ancora più curiosi circa eventuali sviluppi della carriera del giovane Renzo Carbonera.

Marina Pavido

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