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Gli sdraiati

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VOTO: 6.5

E ai genitori chi pensa?

Che il travagliato mondo dell’adolescenza sia sempre stato un tema che ha fin da subito interessato una cineasta come Francesca Archibugi, è cosa risaputa. Siamo nel 1988, infatti, quando il delicato Mignon è partita fa la sua apparizione nelle sale. Da quel momento, la Archibugi si rivela una delle registe più adatte a raccontare un’età tanto difficile. Nel corso degli anni, però, come ben sappiamo, non sempre si riesce a restare fedeli a sé stessi, ed ecco che anche un’autrice promettente come lei si è spesso rivelata eccessivamente autoreferenziale, a volte pretenziosa, quasi come se, a tratti, abbia perso di vista il suo obiettivo primario nel mettere in scena storie non sempre facili da trattare. Chiacchierata, controversa, ma, tuttavia, decisamente prolifica, appena due anni dopo dall’uscita in sala di Il nome del figlio (remake della fortunata commedia francese Cena tra amici), la regista dà vita a Gli sdraiati, tratto dall’omonimo romanzo di Michele Serra, dove si torna nuovamente a raccontare l’adolescenza, abbandonando, però, per un attimo, il punto di vista dei giovani e concentrandosi, invece, sui genitori.
Giorgio Selva è un noto conduttore televisivo, che, dopo la separazione dalla moglie, ha ottenuto l’affido per metà del figlio diciassettenne, Tito. Il ragazzo, tuttavia, non è affatto facile da gestire: sempre in giro con gli amici – i quali spesso invadono letteralmente la casa di Giorgio – è alle prese con i primi amori e, allo stesso tempo, non è mai riuscito a metabolizzare la separazione dei genitori. Il rapporto tra i due, come ben si può immaginare, è piuttosto complicato, con momenti di complicità che si alternano a feroci sfuriate. In che modo, dunque, un genitore può gestire una situazione tanto delicata?
Tale rapporto padre-figlio è stato a suo tempo ben trattato dallo stesso Michele Serra, il quale ha optato per un tono scherzoso ed a tratti esilarante, riuscendo a sdrammatizzare la situazione quanto basta. Per quanto riguarda il lavoro della Archibugi, invece, fatta eccezione per qualche gustosa gag, di certo non si può dire di trovarsi davanti ad una vera e propria commedia. Eppure, per certi versi, il lavoro sembra funzionare. Molto interessante, a tal proposito, la caratterizzazione del personaggio di Giorgio (interpretato da un convincente Claudio Bisio), con le sue numerose sfaccettature ed i suoi sempre giustificati cambi di registro. Malgrado l’attenzione da parte della regista per il mondo dei ragazzi, tuttavia, ciò che ne Gli sdraiati convince meno è proprio la figura di Tito, trattato in modo forse eccessivamente stereotipato e sul quale viene operata un’indagine psicologica decisamente meno approfondita rispetto a quanto viene fatto con la figura di Giorgio. Che il cambio di punto di vista abbia quasi “disorientato” l’autrice? Può darsi. Eppure, su un film come Gli sdraiati, si tende a puntare molto. Se non altro perché quasi tutto il contorno alla storia sembra funzionare: dalla caratterizzazione degli adulti facenti parte della vita di Giorgio alla stessa ambientazione, che vede una Milano iper moderna (particolarmente d’effetto alcune panoramiche che ci mostrano la suggestiva piazza Gae Aulenti, con tanto di grattacieli e “boschi verticali”), in veste di teatro della storia messa in scena.
Peccato, dunque, che in questo caso proprio il mondo dell’adolescenza – da sempre tanto caro alla regista – venga trattato in modo così sommario. Questa volta, però, gli obiettivi erano altri e, come ben sappiamo, non sempre è facile tenere ogni altro aspetto sotto controllo. Il lungometraggio, di conseguenza, dal canto suo riesce anche ad appassionare ed a divertire. Il famoso salto di qualità, però, purtroppo non riesce a spiccarlo mai. Non sempre si può avere tutto, d’altronde.

Marina Pavido

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