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Gli oceani sono i veri continenti

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VOTO: 7,5

C’è chi parte e c’è chi resta

All’unico titolo battente bandiera tricolore presente in concorso è toccato il compito di aprire la 20esima edizione delle Giornate degli Autori della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia. La scelta della direttrice artistica Gaia Furrer e del suo comitato di selezione è ricaduta infatti su Gli oceani sono i veri continenti, l’opera prima di Tommaso Santambrogio che immediatamente dopo l’anteprima al Lido uscirà nelle sale il 31 agosto con Fandango.
Sono questi i primi importantissimi passi compiuti dalla pellicola scritta e diretta dal regista milanese che, oltre ad avere firmato pluridecorati e apprezzati cortometraggi, può vantare prestigiose collaborazioni con diversi autori di fama internazionale tra cui Werner Herzog e Lav Diaz. Autori, questi, la cui vicinanza ha sicuramente influenzato il modo di fare e concepire la Settima Arte, tanto nello stile quanto nella scrittura e nella messa in quadro, di un artista che una volta di più con il suo debutto nel lungometraggio ha dimostrato di volersi svincolare con coraggio dalle logiche di mercato, portando di fatto avanti un cinema indipendente e personale. Santambrogio in tal senso ha carpito dalle lezioni dei suddetti maestri per poi proseguire il cammino in completa autonomia, maturando e dando seguito a un discorso tutto suo. Il risultato è una creatura audiovisiva che si muove in direzione opposta e contraria a quelle partorite dall’esercito omologato e accondiscendente di cineasti del panorama nazionale odierno. Il ché non faciliterà il percorso né a lui tantomeno all’opera in questione, ma si spera con tutto il cuore che possa trovare un suo pubblico perché se lo merita.
Per il suo esordio sulla lunga distanza, Santambrogio ha varcato e di molto i propri confini, spingendosi sino a San Antonio De Los Baños, in una Cuba decadente, per raccontare un mosaico di storie che riguardano la memoria, l’identità e le relazioni umane. Qui vivono e sopravvivono al trascorrere dei giorni, tra ricordi del passato, problemi del presente, l’incertezza del futuro, sogni e disincanto figure che appartengono a tre generazioni: i giovani Alex e Edith, l’anziana Milagros e i bambini Frank e Alain. Le vicende personali e il loro quotidiano si alternano sullo schermo dando forma e sostanza al tessuto narrativo di un racconto polifonico che scorre parallelamente, generando nella sua interezza un affresco di contemporaneità sul quale aleggia lo spettro della separazione, vera grande piaga della società cubana odierna. Ed è su un campione di essa, specchio che ne riflette le diverse espressioni umane, che si concentra lo sguardo del regista meneghino, uno sguardo poetico e malinconico che si posa su un paese che così come la sua gente sta vivendo una crisi senza precedenti. Lo fa con un rigore formale che ha nella fissità della composizione, nella cristallizzazione dell’immagine, in un approccio d’osservazione contemplativa di tipo semi-documentaristico e in un bianco e nero lacerato dalla pioggia caraibica, la propria cifra stilistica.

Francesco Del Grosso

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