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Glass

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VOTO: 7.5

Showdown

Alla conferenza stampa milanese di Split, andata in scena nella sala convegni dell’Hotel Principe di Savoia l’11 gennaio del 2017, M. Night Shyamalan dichiarò che non avrebbe mai diretto un sequel di un suo film se non in presenza di un’idea davvero forte. Per James Russell Lowell «solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione» ed è quanto è accaduto anche al cineasta statunitense. Quell’idea forte che gli ha fatto rivedere la posizione, infatti, è arrivata dopo pochissimo tempo, perché probabilmente già frullava nella testa del cineasta statunitense all’epoca della trasferta in terra meneghina. Evidentemente però l’idea in questione deve essere stata molto più consistente del previsto tanto da spingere Shyamalan a realizzare non uno ma ben due sequel. Per dare forma e sostanza alla sua ultima fatica dietro la macchina da presa, nelle sale nostrane a partire dal 17 gennaio, il regista ha firmato contemporaneamente i capitoli numero due di Unbreakable e del già citato Split, chiudendo così una trilogia dedicata ai supereroi. Insomma come prendere due piccioni con una fava. Dall’unione delle suddette pellicole è nato Glass che, vista la materia prima richiamata in causa, rappresenta di fatto quello che nel linguaggio dei cine-comics risponde al nome di crossover.
Ambientato dopo la fine di Split, il nuovo film di Shyamalan vede di nuovo in azione vecchie conoscenze della sua filmografia, a cominciare proprio dal David Dunn (Bruce Willis), ossia l’unico sopravvissuto al disastro ferroviario di Unbreakable, che nelle vesti di un giustiziere della notte in versione guardiano mantellato in verde è alle prese con l’inseguimento dell’identità sovrumana del criminale affetto da disturbo dissociativo dell’identità Kevin Wendell Crumb (James McAvoy), ovvero la Bestia. Il risultato sarà una serie di incontri sempre più pericolosi consumati sotto gli occhi di Elijah Price (Samuel L. Jackson), l’uomo di vetro del film del 2000, che emerge dall’ombra nel ruolo di orchestratore in possesso di segreti decisivi per entrambi gli uomini.
Dobbiamo dire che non era per niente facile trovare il cavillo in grado di intrecciare storie e personaggi di opere realizzate a diciassette anni di distanza l’una dall’altra e per di più con archi narrativi che sembravano esauriti. Il merito dell’autore è quindi quello di essere riuscito a riaprire e senza forzature le ostilità, quel tanto che è bastato per dare forma e sostanza ad un’opera che si tiene in piedi senza particolari problemi, consentendone la visione anche a chi non ha avuto alcun contatto con i precedenti episodi. Proprio l’accessibilità a Glass da vergini rappresenta un regalo di Shyamalan allo spettatore a digiuno per non perderselo per strada, anche se questo lo ha costretto ad accumulare minutaggio sulla timeline per rinfrescare la memoria, istruire e dettare le regole d’ingaggio tra i tre personaggi principali e quelli di contorno. Ciononostante il racconto scorre senza intoppi anche quando si oltrepassa la soglia della seconda ora, regalando momenti di tensione misti ad adrenalinici corpo a corpo tra la Bestia e Dunn (vedi quelli nella fabbrica di mattoni o nel piazzale della clinica psichiatrica).
Ne viene fuori quello che tecnicamente gli esperti del settore sono soliti chiamare showdown, o meglio la resa dei conti dopo alleanze e scontri tra i soggetti coinvolti con tutti i nodi che finalmente vengono al pettine. Sullo schermo transita quindi un magma cinetico di iconografia, immaginario e nomenclatura fumettistica, che consente a Shyamalan di dire la sua sul superhero movie e sui temi chiave del filone, a cominciare dalla ricerca dell’identità e dall’accettazione della diversità. Il tutto con lo stile riconoscibile e le soluzioni visive tipiche della messa in quadro del regista americano (vedi il suo immancabile uso delle soggettive), che per il suo Glass ha amalgamato gli ingredienti a disposizioni mescolando i toni da thriller psicologico di Split con il mistery in salsa sci-fi di Unbreakable.

Francesco Del Grosso

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