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Fukuoka

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VOTO: 7.5

Oltre il tempo e la distanza

La Berlinale, si sa, è uno dei festival cinematografici con il programma più vasto. Come quasi sempre accade, dunque, vi sono delle sezioni collaterali che, talvolta, finiscono per essere addirittura più interessanti dello stesso concorso. Se pensiamo, quindi, a questa 69° edizione, dove, almeno in questi primi giorni, il Concorso Ufficiale sembra mediamente di livello più basso rispetto agli scorsi anni, ecco che, come ogni anno, ci pensa la sperimentale sezione Forum a regalarci ogni volta interessanti sorprese. Questo, ad esempio, è il caso del lungometraggio sudcoreano Fukuoka, diretto da Zhang Lu e che sin da subito è riuscito a entrare nel cuore di pubblico e critica.
La storia messa in scena è quella di due amici che non si vedono da molti anni: Jea-moon – il quale gestisce una piccola biblioteca a Seoul – e Hae-hyo – divenuto proprietario di un bar nella città giapponese di Fukuoka. I due, amici sin dal liceo, hanno irrimediabilmente litigato dopo essersi innamorati, molti anni prima, della stessa donna. La situazione, tuttavia, prenderà una svolta nel momento in cui Jea-moon tornerà a Fukuoka a trovare l’amico insieme a So-dam, una giovanissima vicina di casa che aiuterà entrambi a guardare il mondo sotto un’altra ottica.

Questo piccolo, prezioso lavoro di Zhang Lu risulta affascinante sin dalla prima scena, in cui vediamo Jea-moon intento a sonnecchiare all’interno della propria biblioteca, prima di essere svegliato dalla giovane So-dam. È qui che – come sovente accade durante lo svolgimento del lungometraggio – la macchina da presa si pone, discreta, dietro una sorta di porticina creata con i numerosi libri impilati, dandoci l’impressione di sbirciare i due protagonisti di nascosto. Una tecnica, questa, che sta tanto a ricordarci il cinema di Wong kar-wai (insieme ai suoi personaggi ripresi attraverso tende scostate o finestre semiaperte) e che, complice, in questo caso, la straordinaria scenografia creata quasi esclusivamente con i libri, ci immerge in una dimensione che può situarsi a metà strada tra l’onirico e il fiabesco. Tale atmosfera, malgrado l’uso di location maggiormente “convenzionali”, rimane per tutto il film, grazie anche – e soprattutto – allo stesso personaggio di So-dam, con uno sguardo limpido e solo apparentemente ingenuo e con una carica vitale che finirà per contagiare i due amici. E se la ragazza, in realtà, fosse soltanto un’illusione ottica, un fantasma?
Il regista, dal canto suo, si diverte a restare sospeso a metà strada tra la dimensione sovrannaturale e il puro realismo, regalandoci, al contempo, teneri scorci della stessa città di Fukuoka visti attraverso gli occhi della ragazza, con uno stupore e una meraviglia propri dell’età infantile.
Una storia senza tempo, questa messa in scena da Zhang Lu. O, meglio ancora, la storia di una forte amicizia che non teme il passare del tempo né tanto meno la lontananza. Tema, questo, più e più volte sfruttato in ambito cinematografico? Indubbiamente. Eppure, da che mondo è mondo, ciò che conta è principalmente il modo stesso in cui una storia viene messa in scena. E Zhang Lu, dal canto suo, è riuscito a realizzare un prodotto sì registicamente ricercato, ma, allo stesso tempo, tenero e leggero come una piuma. Una vera e propria ventata di freschezza all’interno di questa 69° Berlinale.

Marina Pavido

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